domenica 27 novembre 2016

Holy Grove - Holy Grove


Holy Grove – Holy Grove
(Heavy Psych Sounds, 2016)

L’aria delle foreste attorno Seattle deve aver raggiunto Portland: gli Holy Grove hanno infatti i polmoni pieni dei suoni che imperversavano nello stato di Washington tra fine anni ‘80 e inizio ‘90. I riff massicci e poderosi - per quanto rallentati - del loro disco d’esordio possiedono quell’elasticità ben nota agli amanti di Badmotorfinger. Il seme dal quale scaturisce la musica degli Holy Grove è lo stesso che aveva generato i Soundgarden: l’hard rock oscuro di matrice blues dei primi anni ‘70, Black Sabbath e Led Zeppelin in testa. Ma se il gruppo di Chris Cornell reinterpretava le sue origini alla luce (oscura) del metal e del lato più pesante del rock indipendente americano degli anni ‘80, gli Holy Grove hanno assimilato la lezione delle assolate spiagge californiane e del groove tipicamente stoner che ne smuove le sabbie. Ma di Sole non ce ne è molto nei sette brani del loro omonimo album. Più facile rimanere abbagliati dai colori cangianti dell’aurora boreale che inonda di fredda luce psichedelica ogni canzone - oltre alla bellissima copertina. La presenza di una voce capace di guidare con autorità gli sviluppi della musica dimostra quanto il “bosco sacro” di Portland sia confinante con le oscure foreste di Seattle. E forse non è un caso se questa voce piena, potente, grintosa, capace di avventurarsi su tonalità alte senza perdere un briciolo di sporcizia e ruvidità, appartiene ad una donna (Andrea Vidal). Perché pur essendo gli Holy Grove una band che si bagna nel fiume della musica pesante del passato, è pienamente in linea con il tempo presente e con il ruolo nevralgico assunto dalle donne, ormai da qualche anno padrone quasi assolute del microfono. Che sia giunto il tempo per una nuova ondata di rock alternativo americano, stavolta guidato dalla voce femminile? Gli Holy Grove hanno tutte le carte in regola per potersi affiancare a Royal Thunder e soci in questa sfida.
[R.T.]
*** 

Holy Grove – Holy Grove
(Heavy Psych Sounds, 2016)

The air of the forests around Seattle must have reached Portland: indeed Holy Grove have their lungs full of the sounds that were raging in Washington state in the late 80s and early 90s. However slow, the massive powerful riffs of their debut album have got that elasticity well known to Badmotorfinger lovers. Holy Grove music springs from the very same seed that generated Soundgarden: the bluesy obscure hard rock of the early 70s, especially Black Sabbath and Led Zeppelin. But if Chris Cornell band reinterpreted its origins in the (dark) light of metal and of the heaviest side of the American independent rock of the 80s, Holy Grove assimilated the lessons of the sunny beaches of California and the typical stoner groove stirring those sands. Yet there is not so much Sun in the seven songs of their self-titled album. Easier to be dazzled by the shimmering colors of the Northern Lights that floods each song – besides the beautiful cover – with its cold psychedelic light. The presence of a voice capable of driving with authority music developments shows how much the "holy grove" of Portland is bordering on the dark forests of Seattle. And perhaps it is no coincidence that this full powerful voice - able to venture on high notes without losing an iota of dirt and roughness - belongs to a woman (Andrea Vidal). Because even though Holy Grove are a band that bathes in the river of the heavy music of the past, they are fully in line with the present and with the crucial role played by women, for some years now almost absolute leaders of the microphone. Maybe it is time for a new wave of American alternative rock, this time led by female voice? Holy Grove have all they need to be side by side with Royal Thunder & co in this challenge.
[R.T.]

venerdì 25 novembre 2016

King Crimson - 09.11.2016 - Teatro Verdi (Firenze)


King Crimson - 09.11.2016 - Teatro Verdi (Firenze)

Il Re Cremisi è un monarca autoritario e un po' folle che domina l'universo del rock progressivo da quasi 50 anni. Fin dalla più tenera età ha mostrato curiosità e fantasia, modellando la musica a suo piacimento, come fosse un giocattolo. Per far questo, il suo alter ego in carne ed ossa - Robert Fripp - si è circondato di compagni di giochi sempre diversi, ma sempre contraddistinti da una forte personalità. E' un monarca talmente autoritario e folle che, con l'età, è arrivato al punto da assoldare delle guardie di nero vestite a vigilare sull'ordine perentorio imposto agli spettatori delle sue esibizioni, riguardo l'assoluto divieto di fare video e foto. 
Entrare nella Corte del Re è un passo che mette soggezione, soprattutto nell'aristocratico ambiente di un Teatro. Dal palchetto, l'impatto scenografico è maestoso: tre batterie in primo piano e, alle loro spalle, la tribuna per il resto della "famiglia reale". 

Che lo spettacolo abbia inizio.

Un gioco di specchi tra tamburi, piatti e assurde percussioni di ogni tipo è la prima apparizione. Disarmante e spiazzante fin dall'inizio, il gruppo affida il ruolo di incipit alle convulsioni cervellotiche di Larks' Tongues in Aspic. I tre tentacolari batteristi - Pat Mastellotto, Gavin Harrison e Jeremy Stacey - giocano con continui reciproci richiami, mostrando la loro complementarietà (tanto quadrato, preciso, potente Harrison quanto morbido e sperimentatore Mastellotto, mentre Stacey - che suona anche synth e tastiere - alterna la linearità del rock a passaggi più tipicamente jazz). Ancora senza fiato, come un trapezista appeso a dondolare a testa in giù, entro in un'altra epoca - fine anni ‘60 e inizio ‘70 - ma in realtà viaggio astratto rispetto al tempo convenzionale. 

Sembra impossibile che la storica band inglese riproponga, dopo tanti anni, suoni e atmosfere calde e avvolgenti come quelle dei loro primi album (1969-1971). Eppure - grazie ai fiati di Mel Collins, al mellotron di Fripp e alla voce scarna, melodica, (caratterizzata da un'intensa e calda vibrazione) di Jakko Jakszyk, - tutto diventa possibile. E reale. Peace: an End, The Letters, perfino una delle parti che compongono Lizard. Brani ricercati che brillano come gemme pregiate, nascoste in mezzo a classici ben più conosciuti.  Accanto a questi momenti morbidi, jazzati, coperti da una bruma tipicamente inglese, la band ripercorre le spirali ritmiche e ipnotiche del resto della carriera, in cui un'inarrestabile Tony Levin tiene testa, con il suo basso (o il chapman stick, all'occorrenza) ai tre batteristi.  

I riff frammentati e nervosi della seconda fase (1973-1974) assumono con naturalezza le forme di un jazz spigoloso e dissonante. Quelli degli anni '80 sono reinterpretati con nuova sensibilità (Jakko Jakszyk dona nuova vita ad Indiscipline, riscrivendo la melodia della voce, senza la minima intenzione di ricreare la schizoide fantasia di Adrian Belew), mentre i suoni ultramoderni caratterizzanti il periodo anni '90/'00 sono resi meno meccanici e schiaccianti, senza però perdere un briciolo di elettricità ed evidenziando un'inedita "componente umana". Ma oltre a riproporre brani tratti da quasi tutti i loro dischi, i King Crimson degli anni '10 giocano a sbriciolare e ricomporre la materia sonora (soprattutto la sua componente ritmica) così come farebbe una band jazz, proponendo nuovi frammenti - al momento inediti in studio - e dimostrando quanto un concerto dedicato principalmente a ripercorrere l'intera storia della band si basi ancora una volta sulla creatività. Creatività che consente di amalgamare sonorità e atmosfere apparentemente distanti tra loro, grazie a continue reinterpretazioni - non esclusivamente ritmiche (Easy Money, racchiuso nel suo guscio di rock deciso ed energico, ad esempio, contiene un lungo passaggio liquido e psichedelico guidato dalla chitarra di Fripp).

Il secondo dei due lunghi set che caratterizzano la serata si chiude con la crepuscolare atmosfera di Starless. La coda di dissonanze magiche, che si inseguono l’un l’altra è - insieme alla sontuosa rassegnazione di Epitaph - il momento più emozionante di un concerto memorabile. 

Ma prima che il Re Cremisi si eclissi, c’è ancora spazio per un bis: prima l'omaggio a David Bowie, con quella "Heroes" in cui Fripp naviga con la sua chitarra in oceani cosmici, e - infine - il brano da cui tutto è scaturito e in cui tutto torna a convergere: 21st Century Schizoid Man. Chi è entrato nella Corte del Re, questa sera, si è trovato al cospetto di un regnante vecchio e saggio, la cui follia è consapevolezza del delirio nel quale viviamo la nostra esistenza. 
[R.T.]

***

King Crimson - 11.09.2016 - Teatro Verdi (Firenze)

The Crimson King is a bit crazy authoritarian monarch who has been dominating rock progressive universe for nearly 50 years. Since his childhood he has been showing curiosity and fantasy, shaping music as he pleases, as if it was a toy. To achieve his aim, his human alter ego – Robert Fripp – has constantly surrounded himself with always new playmates, yet always characterised by a strong personality. Indeed, he is such a crazy authoritarian monarch that, becoming older, he decided to engage black dressed guardians to prevent people in the audience to make videos or photos during his performances. To enter the Court of the King fills anyone with awe, especially if inside a Theatre. From my seat, the scenographic impact is majestic: three drums in the foreground and, behind them, the tribune for the rest of the “royal family”.

Let the show begin.

A hall of mirrors of drums, cymbals and every sort of percussions as first apparition. Disorienting from the very beginning, the incipit are Larks' Tongues in Aspic brainy convulsions. The three drummers - Pat Mastellotto, Gavin Harrison e Jeremy Stacey – play constantly recalling each other, showing their complementarity (Harrison is so much precise and powerful as Mastellotto is smooth and experimental, while Stacey – playing also synth and keyboards – alternates rock with jazz). Still breathless, I enter into another era – late 60s/early 70s – but to be honest I am travelling out of the conventional time.

It seems impossible that after so many years the historic English band plays again those incredible atmospheres of their first albums (1969-1971). Indeed, thanks to Mel Collins wind instruments, Fripp mellotron and Jakko Jakszyk melodic bare voice, everything becomes possible. And real. Peace: an End, The Letters, and even one of Lizard parts. Songs which shine as precious gems amongst ultra-famous classics. Together with this jazzy, smoothy moments covered in a typically English mist, the band retraces the rhythmic hypnotic spirals of the rest of its career, with an unrestrainable Tony Levin able to keep up with the three drummers thanks to his bass or chapman stick.

Fragmented nervous riffs of the second phase (1973-1974) naturally become a dissonant jazz. Those of the 80s are reinterpreted with new sensitivity (Jakko Jakszyk gives new life to Indiscipline, rewriting the melody of the voice, without the slightest intention of recreating the schizoid fantasy of Adrian Belew), while the ultra-modern sounds characterizing the 90s /00s have become less mechanical and overwhelming, yet without losing a shred of electricity and highlighting an unprecedented "human component". But besides playing songs from almost all their releases, 10s era King Crimson play to crumble and recompose the sound matter (especially his rhythmic component) as well as a jazz band would do, proposing new fragments - unreleased at this moment - and showing how much a concert mainly devoted to retrace the entire history of the band is based once more on creativity. Creativity that allows to mix together apparently distant sounds and atmospheres, thanks to continuous reinterpretations - not exclusively rhythmic (for example, Easy Money, enclosed in its shell of energic rock, contains a long liquid psychedelic phrasing led by Fripp guitar).

The second of the two long sets characterizing the evening ends with the twilight atmosphere of Starless. These magical dissonances following one each other are - along with the sumptuous resignation of Epitaph - the most exciting touching moment of a memorable concert.

But before the Crimson King eclipses, there is still time for an encore: a tribute to David Bowie, with that "Heroes" where Fripp sails with his guitar through cosmic oceans, and - finally - the song from which eveything originated and where everything returns to converge: 21st Century Schizoid Man. Who has entered the Court of the King this evening, found himself in the presence of an old wise ruler, whose madness is awareness of the delirium in which we live our existence.
[R.T.]

martedì 22 novembre 2016

Deadsmoke - Deadsmoke


Deadsmoke - Deadsmoke
(Heavy Psych Sounds, 2016)

Già dalla copertina, l'omonimo album dei Deadsmoke richiama alla mente un pesante (Ufo)mammut che si aggira ai piedi di un ghiacciaio. Riff pesantissimi e imponenti si muovono con lentezza estenuante, come un pachiderma peloso in cerca di cibo tra distese di rocce moreniche e neve. Il gelo avvolge sia le gigantesche montagne sia le canzoni della band - che proprio alle pendici delle montagne (dell'Alto Adige) si è formata. Siamo ad alta quota, in una notte di Gennaio. Sarà per il freddo - che intorpidisce e fa perdere la sensibilità - o per quel cielo stellato che ipnotizza, fatto sta che l'effetto di questa musica è stordente, con evidenti richiami al doom cosmico di scuola Electric Wizard e Sleep, oltre che Ufomammut.  L'ottundimento è inoltre amplificato da alcuni echi space rock che sembrano risuonare tra quelle montagne (complice anche lo special guest Gabriele Fiori ai synth - Black Rainbows, nonché Heavy Psych Sounds Records, etichetta della band bolzanina). Qualche rovinosa frana di massi, in puro stile post metal (Tornado), dona inoltre movimento ad un disco altrimenti monolitico. Il mammut dei Deadsmoke è un animale estinto e non aggiunge particolari novità alla fauna del presente: ma è talmente vivo da far gola a tutti i cacciatori di queste sonorità. Se poi si pensa che si tratta di un cucciolo (questo è infatti il disco d'esordio del trio) è tanta la curiosità di sapere cosa combinerà "da grande" quando si distaccherà dalle orme dei padri.
[R.T.]
***

Deadsmoke - Deadsmoke
(Heavy Psych Sounds, 2016)

The cover itself of Deadsmoke selftitled album is reminiscent of a heavy (UFO)mammoth wandering at the foothills of a glacier. Heavy imposing riffs move with exhausting slowness, like a hairy pachyderm looking for food amongst morainic rocks and snow. Chill envelops both the gigantic mountains and the songs of the band - band formed exactly at the (South Tyrol) mountain slopes. We are at high altitude, in a January night. Maybe for the cold - which numbs and makes you lose sensitivity - or maybe for the hypnotizing starry sky, the fact is that the effect of this music is deafening, with clear references to the cosmic doom of Electric Wizard and Sleep school, as well as Ufomammut. Obtundation is also amplified by some space rock echoes that seem to resonate up in those mountains (also thanks to special guest Gabriele Fiori on synth - Black Rainbows and Heavy Psych Sounds Records, label of the band from Bolzano). And there is also some disastrous landslide of boulders in pure post metal style (Tornado), giving movement to an otherwise monolithic album. Deadsmoke mammoth is an extinct animal and does not add special news to the fauna of the present time: but it is so alive as to be extremely tasty for all the hunters of these sounds. And if you think that it is just a puppy (it is the trio's debut album indeed) you cannot wait to see what it will look like when "grown up" and detached from fathers footsteps.
[R.T.]

domenica 20 novembre 2016

Cough – Still They Pray


Cough – Still They Pray
(Relapse Records, 2016)

Cough. Tosse. Non potevano trovare un nome più adeguato alla loro musica, i quattro della Virginia. Il doom cosmico che caratterizza i 67 minuti del loro terzo disco ha infatti la repellente vischiosità del catarro che ingolfa i bronchi. Brani lunghi e fangosi che si trascinano lentamente, trovando a fatica un raggio di luce. La voce di Parker Chandler non è certo il ritratto della salute e, a tratti, raggiunge i versanti più putridi dello sludge (Possession, Masters of Torture). Riff pesantissimi e ossessivi, che, nonostante la loro monoliticità, mantengono un groove sinuoso (come se ondeggiassimo, completamente ubriachi, su un’altalena…prossimi a vomitare…). Non che la loro proposta sia particolarmente originale (l’influsso degli Electric Wizard è più che evidente, e non solo perché l’album è prodotto da Jus Oborn), ma i brani sono avvincenti, sia quando si dilatano in assoli di blues sporco carico di echi psichedelici (Shadow of the Torturer), sia quando si avventurano lungo direttrici maggiormente melodiche (Let It Bleed). Parker Chandler, divenuto bassista dei Windhand, ha portato alla corte dei suoi Cough Garrett Morris (che dei Windhand è chitarrista e produttore) per affiancare Oborn nelle fasi di lavorazione in studio. A differenza dei Windhand, però, qui non c'è alcuna sfumatura luminosa, perché siamo circondati dalle atmosfere tetre e viscide di un vecchio film splatter. Anche se il risultato non si discosta molto dai classici del genere, è sempre piacevole provare la sensazione di Regan MacNeil, posseduta dal demonio, che vomita in faccia a Padre Karras.
[R.T.]
***

Cough – Still They Pray
(Relapse Records, 2016)

Cough. They could not find a more appropriate name to their music. The 67 minutes of cosmic doom of their third album owns the repellent stickiness of  mucus choking bronchial tubes. Long and muddy tracks slowly dragging themselves, finding  a ray of light with difficulty. Parker Chandler voice is certainly not the picture of health, and, at times, it reaches the most putrid side of sludge (Possession, Masters of Torture). Despite their monolithicity, the heavy obsessive riffs maintain a sinuous groove (as if we sway, completely drunk, on a seesaw ... close to vomit ...). Their music is not particularly original (the influence of Electric Wizard is evident and not only because the album is produced by Jus Oborn), but songs are compelling, both when dilate themselves in dirty blues solos full of psychedelic echoes (Shadow of the Torturer), and when venturing along melodic roads (Let It Bleed). Becoming Windhand bassist, Parker Chandler brought Garrett Morris (Windhand guitar player and producer) to the court of his Cough, to help Oborn in the processing steps in the recording studio. Differently from Windhand, here there is no shade of light, because we are surrounded by the gloomy and slimy atmosphere of an old splatter film. Although the result is not so different from the classic albums of the genre, it is always nice to experience the feeling of Regan MacNeil, possessed by the devil, vomiting in the face of Father Karras.
[R.T.]


giovedì 17 novembre 2016

Swans + Anna Von Hausswolff - 05.11.2016 - Teatro Manzoni (Bologna)


Swans + Anna Von Hausswolff - 05.11.2016 - Teatro Manzoni (Bologna)

Un concerto degli Swans non è un "semplice" concerto: è "un'esperienza". Di quelle che lasciano il segno. Chi vi ha assistito sa quanto intensa ed estrema possa essere. L'occasione di viverla in teatro è assolutamente imperdibile. E lo è ancora di più se si pensa che la band è già destinata a stravolgere la propria formazione (e probabilmente il proprio stile) alla fine di questo tour, e che si trova alla conclusione di un ciclo - assolutamente straordinario - durato 7 anni.

Ad accogliermi nel Teatro Manzoni di Bologna, è la musica spirituale di Anna Von Hausswolff. La musicista svedese sale sul palco silenziosamente - quasi sommessamente - e prende per mano il pubblico, accompagnandolo in un viaggio attraverso luoghi gelidi e oscuri. Varchi di umanità si aprono però nel flusso cosmico generato dai tappeti di tastiere e synth, dagli arpeggi di chitarra grondanti di echi, nonché dalla sognante slide guitar di Christoph Hahn degli Swans. Questi varchi sono generati dalla calda e potente voce della Von Hausswolff, che sale lungo scale a chiocciola in un percorso che ricorda quello di Lisa Gerrard. Si rimane affascinati e si stenta a comprendere come tale forza luminosa riesca a stare tutta dentro a quella esile musicista, capace di trasformare il Teatro in “un mondo a parte” per tutta la durata del suo set. E dopo gli applausi finali rimane un grande senso di liberazione e pace che pochi artisti riescono ad offrire al proprio pubblico.

Liberazione e pace non appartengono invece a Michael Gira. Nonostante The Glowing Man - l'ultimo album degli Swans - offra qualche raggio di luce - come a voler tracciare un nuovo orizzonte - quello cui assisto dal vivo è pura negatività. L'estasi (annichilente e totalizzante al tempo stesso) che mi aveva sconvolto ed elettrizzato durante il concerto del 2013 si trasforma stasera in tensione, nervosismo e cattive vibrazioni. Le mostruose tempeste soniche che si abbattono sul pubblico stordiscono e spossano. Ogni spazio all'interno del teatro è divorato da volumi mastodontici e da muri di distorsione assolutamente spaventosi. C'è spazio per alcuni passaggi dal groove avvolgente e per ritmi schiaccianti come martellate, ma gran parte delle oltre due ore di concerto sono ingoiate da droni impenetrabili. Per chi è nelle prime file (come me) la massa sonora è davvero impressionante. Per lo più tratte dall'ultimo album, le canzoni sono ancor più dilatate e rumorose che su disco, e vengono alternate a mostruose creature inedite (come un impressionante oceano di distorsione di circa 40 minuti, che apre il concerto), dimostrando quanto Gira sia ancora intenzionato a sperimentare. Il musicista newyorkese è completamente estraniato dalla realtà e ormai è un tutt'uno con la sua musica, completamente rapito dalle onde elettriche che escono come colate laviche dagli amplificatori, e si scaglia a più riprese contro chiunque non riesca a seguire le sue direttive (che probabilmente è convinto di impartire per via telepatica). Oltre a qualche battibecco con i tecnici e con qualcuno del pubblico, se la prende con i suoi musicisti (soprattutto con bassista e batterista). Nonostante questi manipolino suoni e distorsioni con incredibile maestria (senza lo scheletro ritmico imposto dal bassista il flusso sonoro si perderebbe nel caos assoluto, e senza le divagazioni liquide del tastierista non ci sarebbe l'indispensabile imprevedibilità), Gira non pare soddisfatto dall'eccessiva libertà che i suoi musicisti si concedono. Completamente accecato dalla sua musica apocalittica (oltre che dal suo Ego) trasforma il concerto in una continua sfida tra se stesso e il resto del Mondo, utilizzando le distorsioni come vere e proprie armi. Una delle ultime battaglie prima della conclusione di questa formazione a nome Swans. Un'esperienza che lascia spossati ed esterrefatti, mai indifferenti. Genialità e follia. Questo è Michael Gira, prendere o lasciare.
[R.T.]


*** 

Swans + Anna Von Hausswolff - 11.05.2016 - Teatro Manzoni (Bologna)

A Swans concert is not simply a "concert": it is an "experience". One of those experiences that leave their mark. Those ones who attended one of their concerts perfectly know how much intense and extreme it can be. The chance to live it inside a theatre is absolutely unmissable. Even more if one thinks about the fact that the band is going to upset its lineup (and possibly its style) at the end of this tour and that it is at the end of a - definitely amazing - 7 years long cycle.

It is Anna Von Hausswolff spiritual music to welcome me in Teatro Manzoni in Bologna. The Swedish musician gets on stage silently - quietly - and she joins hands with the audience, bringing it into a journey through cold and dark places. Yet gates of humanity opens into the cosmic flow generated by carpets of synths and keyboards, by dripping echoes guitar arpeggios, as well as by Christoph Hahn (Swans) dreamy slide guitar. These gates are generated by Von Hausswolff warm powerful voice, going up spiral staircases along a path reminiscent of Lisa Gerrard one. It is fascinating and it is hard to understand how such a bright force manages to be all inside that minute musician, capable of transforming the Theatre in "a World apart" for the whole duration of her set. And after the final applause there is an incredible sense of deliverance and peace that few artists are able to offer to their audience.

Deliverance and peace do not belong to Micheal Gira instead. Even though The Glowing Man - Swans latest album - offers some ray of light - as if to draw a new horizon - what I see in this live show is pure negativity. The (annihilating and totalizing at the same time) ecstasy that thrilled and upset me during their concert in 2013 tonight turns into tension, nervousness and bad vibes. The monstrous sonic storms striking the audience are stunning and exhausting. Every space in the theater is devoured by gigantic volumes and absolutely appalling walls of distortions. There is space for some captivating groovy phrasings and for hammering rhythms, but the greatest part of the concert is swallowed by impenetrable drones. For those in the first rows (like me!) the sound mass is really impressive. Mostly taken from the latest album, songs are even more dilated and noisy than on recordings and they alternate with monstruous unreleased creatures (as a striking 40 minutes long ocean of distorsions opening the concert), showing how much Gira is still willing to experiment. The New York musician is completely estranged from reality and he is definitely all one with his music, completely enraptured by the electric waves gushing out of the amps as pouring lava, and he  frequently inveighs against anyone who fails to follow his directives (possibly thinking he is imparting them telepathically). Besides quarrels with music engineers and someone in the audience, he also picks on his musicians (especially on drummer and bassist). Even though they handle sounds and distortions with amazing mastery (without the rhythmic skeleton imposed by the bassist the sonic flow would get lost in the absolut chaos, and without the liquid digressions of the keyboard player there would not be the necessary unpredictability), Gira does not seem satisfied by the excessive freedom to which his musicians indulge. Totally blinded by his apocalyptic music (as well as from his Ego), he turns the concert into a continuous challenge between himself and the rest of World, using distortions as veritable weapons. One of the last battles before the end of this lineup under the name Swans. An experience that leaves exhausted and stunned, never indifferent. Genius and madness. This is Michael Gira, take or leave.
[R.T.]


lunedì 14 novembre 2016

Deville + Ramachandran + Growing Bloom - 30.10.2016 - Ganz of Bicchio (Viareggio, LU)


Deville + Ramachandran + Growing Bloom - 30.10.2016 - Ganz of Bicchio (Viareggio, LU)

Un concerto tira l’altro. Soprattutto se come me hai una dipendenza da watt e distorsioni. Così, di ritorno dall’Heavy Psych Sounds Fest, ancora carico per la due giorni all’insegna dello stoner, e dopo una divertente chiaccherata con il batterista e il bassista dei Deville, decido di chiudere il fine settimana con una sorta di afterparty, andando a riascoltare la band svedese, stavolta vicino a casa.

Il Ganz of Bicchio è un minuscolo locale disperso nella “campagna” viareggina, ricavato da un magazzino ai bordi dell’autostrada. L’atmosfera, dentro, è in netto contrasto con l’ambiente esterno: luci soffuse, palco rasoterra, divanetti ai bordi della sala e ottima resa sonora.

I primi a suonare sono i Growing Bloom, da Pisa. Stoner rock ispirato a Queens of the Stone Age e Red Fang, molto dinamico e divertente. Interessanti e convincenti i brani strumentali, molto meno efficaci le parti cantate e le cover. Le potenzialità e le carte in regola ci sono tutte, basta solo canalizzarle sui propri punti forti.

Seguono i Ramachandran. Trio viareggino, unione di batterista potente (di scuola metal), chitarrista ipercinetico e carico di suoni fuzzosi ai limiti del noise, cantante più classicamente rock, con timbrica calda e discrete capacità espressive. Una bella scarica elettrica, in cui solo a tratti si avverte la mancanza del basso a sorreggere la struttura ritmica dei brani. 

Secondo concerto dei Deville in due giorni. E stasera suonano ancor più compatti, con i riff metal in primo piano, anche grazie a suoni più potenti e maggiormente definiti. Anche la voce stasera è più graffiante e ruvida - le parti più melodiche risultano decisamente smorzate, senza però perdere immediatezza e orecchiabilità. Il piccolo palco e l’atmosfera intima del locale amplificano l’impatto della musica dei quattro svedesi. Il perfetto equilibrio tra gusto melodico, energia metal, tiro ed esplosivi riff stoner fa dei Deville una band imperdibile, soprattutto dal vivo.
[R.T.]


***

Deville + Ramachandran + Growing Bloom - 30.10.2016 - Ganz of Bicchio (Viareggio, LU)

A concert leads to another one. Especially if you have an addiction to watts and distortions as I do. So, coming back from Heavy Psych Sounds Fest, still excited for those two days in the name of stoner rock and after a funny chat with Deville drummer and bassist, I decide to end my weekend with a sort of afterparty, going to listen to the Swedish band once again, this time close to home.

Ganz of Bicchio is a tiny club lost in Viareggio surroundings, obtained from a warehouse at the edge of the highway. Inside the club the atmosphere is in complete contrast with the external environment: dim lights, a ground level stage, sofas along the walls and excellent sound.

Growing Bloom from Pisa are the first ones to play. Stoner rock inspired by Queens of the Stone Age and Red Fang, funny and very dynamic. Instrumental tracks are interesting and convincing, while vocals and covers are much less effective. The potential is all there, they just need to channel it on their strengths.

Then Ramachandran. Trio from Viareggio, union of a powerful (metal oriented) drummer, a hyperkinetic guitarist with an almost noise sound full of fuzz, and a more classically rock singer, with warm timbre and good expressive capabilities. A great electric discharge, where only at times you feel the lack of a bass  guitar supporting songs rhythmic structure.

Second Deville concert in two days. And tonight they sound even more solid and compact, with metal riffs in the foreground, thanks to more powerful and more defined sounds too. Tonight even voice is more scratchy and rough - the most melodic parts are decidedly deadened, without losing immediacy and still being catchy. The small stage and the intimate atmosphere of the club amplify the impact of the music of the four Swedes. The perfect balance amongst melodic taste, metal energy, groove and explosive stoner riffs makes Deville an unmissable band, especially live.
[R.T.]



venerdì 11 novembre 2016

Heavy Psych Sounds Fest Volume III – Day 2


Heavy Psych Sounds Fest Volume III – Day 2
[Atomic Bitchwax + Giöbia + Fatso Jetson + Duel + Deville + Komatsu]

Sembra quasi impossibile, ma il bill di oggi è ancora più galvanizzante di quello del giorno di apertura. Il nostro secondo giorno inizia quindi dal palco più piccolo con gli olandesi Komatsu. Insieme agli Atomic Bitchwax, ce li siamo tenuti in serbo per questo festival, pur essendo in scaletta anche al Desertfest Antwerp di 2 settimane fa. Compatti, con un gran tiro stoner, hanno un suono caldo e sporco che seduce l'ascoltatore. Il sound "complementare" delle due chitarre - una più sabbiosa, l'altra più compatta e pesante - si sposa alla perfezione con il cantato leggermente ruvido. C'è lo spazio per alcuni passaggi rallentati (anche dissonanti e sludgeosi), ma il tratto distintivo del loro set è il gran tiro, davvero coinvolgente!

E poi ti sposti davanti al palco più grande, e ti ritrovi davanti ad una band che sembra uscita da un video metal degli anni 80! Deville = fiumi di energia e grinta. Incontenibili (soprattutto il chitarrista ed il bassista) i quattro svedesi hanno il loro punto di forza nei riffs ricchi di groove - a mezza strada fra stoner e metal - e nelle ritmiche serrate. Alcuni pezzi sono più sbilanciati sulla melodia e forse perdono qualcosa rispetto all'album per ciò che riguarda il cantato. Ma indubbiamente il palco aumenta il loro lato più metal e quindi l'attacco heavy delle loro canzoni.  

A distanza di sole due settimane ci becchiamo nuovamente i Duel, che confermano il loro stato di grazia! Come sul palco del Trix, i quattro di Austin non si risparmiano e - nonostante i suoni non siano perfetti - esaltati ed esaltanti, suonano un concerto dal quale non riusciamo a staccarci! Si confermano imperdibili dal vivo! 

Vorremmo recuperare un po' l'udito (dopo tre bands di fila senza un attimo di respiro), ma i Fatso Jetson ci reclamano fatalmente... perché il loro concerto è qualcosa di clamoroso! Mario Lalli ci riporta alla mente Steve Albini, sia come attitudine (anche se molto più alla mano) sia come modo di suonare. I brani più tirati, infatti, hanno quel retrogusto di noise rock indipendente anni '80 (e del resto la famiglia Lalli viene proprio da quegli anni, con gli Yawning Man attivi già dalla metà di quella decade, prima dei Fatso Jetson) e spiccano per il nervosismo spigoloso ed i suoni estremamente acidi e graffianti. I brani più lenti, poi, sono puro desert rock (si sa, l’hanno inventato loro!) e trasportano l'ascoltatore in una dimensione altra, estraniandolo dal contesto in cui è immerso, facendolo oscillare sugli ipnotici arpeggi. Assolutamente grandiosi!

A questo punto ci prendiamo davvero il lusso di far riposare un po' l'udito, e ci ascoltiamo solo parte del set dei Giöbia avendoli ascoltati di recente al Desertfest in Belgio. Più compatti e rotondi che in quell'occasione (anche perché è rientrato in formazione il loro batterista naturale), risultano soprattutto molto più pesanti e potenti. Super-psichedelici come è insito nella loro essenza, ottundono l’ascoltatore con le loro montagne di effetti, rapendolo nel loro sogno oscuro.

Infine, Atomic Bitchwax: strepitosi! Un tornado inarrestabile. Vorticosi e ipercinetici, abbinano un groove spaventoso (soprattutto nei riff più stoner, di matrice blues) a suoni compatti e metal (ma comunque carichi di bassi) e sfuriate a tutta velocità quasi thrash e hardcore: potrebbero sembrare i Megadeth di Rust in Peace che suonano stoner. Aprono con In the Flesh dei Pink Floyd - potentissima! -  che riprendono poi a metà concerto, trasformando il riff in una mazzata che lo fa sembrare uscito dalla fantasia di Tony Iommi ad inizio carriera. E all'improvviso ci ritroviamo dentro ad Animals,  con Pigs on the Wings e Pigs...travolgente! assolutamente memorabile! E sul finire  del concerto non può che scattare un pò di pogo sotto il palco (dove siamo anche noi!): rimanere fermi ed impassibili è davvero impensabile! Assolutamente tra i concerti dell’anno!!!  

Con questo incredibile set degli Atomic Bitchwax si chiude il terzo capitolo di un festival unico nel suo genere qui in Italia. E se quest'edizione ha spazzato via le altre due per l'incredibile bill, non possiamo che confidare che la quarta andrà ancora oltre! Nel frattempo...stay rock, stay heavy, stay psych!!!
[E.R. + R.T.]

 
 
***

Heavy Psych Sounds Fest Volume III – Day 2
[Atomic Bitchwax + Giöbia + Fatso Jetson + Duel + Deville + Komatsu]

It seems almost impossible, but today bill is even more electrifying than yesterday one. Our second day then starts from the smallest stage with the Dutch Komatsu. Together with the Atomic Bitchwax, we saved their shows for this festival, despite their being also in Desertfest Antwerp lineup 2 weeks ago. Compact, with a great stoner groove, they got a warm dirty sound that seduces the listener. The "complementary" sound of two guitars - one may be defined as sandy, while the other is heavier and tougher - perfectly goes with the slightly rough vocals. There is room also for a few slow parts (even dissonant and sludgy), but the hallmark of their set is the great, really addictive, groove!

And then you move to the main stage, and you find yourself in front of a band which seems to come straight out of a 80s metal video! Deville = rivers of energy and drive. Uncontrollable (especially the guitarist and bassist) the four Swedes have their strength in their groovy riffs - halfway between stoner and metal - and tight rhythms. Some songs are more melody-oriented and perhaps vocals lose something if compared to the album. But undoubtedly the stage increases their metal side and therefore the heavy attack of their songs.

After only two weeks it is time for Duel once again, and they again confirm to be in their seventh heaven. As Trix stage, the four from Austin give all their best and - despite sounds are not perfect - exalted and exalting they play a concert from which we can not break away! Their gigs confirmed themselves as unmissable!

We would like to recover a bit our hearing (after three bands in a row without a breather), but Fatso Jetson claim us fatally ... because their concert is something sensational! Mario Lalli reminds us of Steve Albini, both for the attitude (although much more down to earth) and the guitar style. The grooviest songs have got the aftertaste of 80s independent noise rock (indeed Lalli family comes exactly from those years, with Yawning Man active since the middle of that decade, before Fatso Jetson) and they stand out for the edgy nervousness and extremely acids and scratching sounds. Slower songs, then, are pure desert rock (well, they invented it!) and they carry the listener into another dimension, estranging it from the context in which it is immersed, making him wave on hypnotic arpeggios. Absolutely awesome!

And now it is really time to let our ears rest a little and so we listen to only a part of Giöbia set, having recently listened to them at Desertfest in Belgium. More compact than in that show (also because once again with their own drummer), they sound particularly heavy and powerful. Super-psychedelic as it is iin their essence, they stun the listener with their mountains of effects, seizing him in their dark dream.

Finally Atomic Bitchwax: amazing! An unstoppable tornado. Whirling and hyperkinetic, they combine a monstruous groove (especially in the bluesy stoner riffs) with compact metal sounds (anyway rich in basses) and almost thrash/hardcore outbursts at full speed: they might look like Rust in Peace era Megadeth playing stoner. They start with Pink Floyd In The Flesh - powerful! - that they then resume in mid-concert, transforming the riff in a blow that makes it seem to come out of the Tony Iommi imagination in his early days. And suddenly we find ourselves into Animals, with Pigs on the Wings and Pigs ... overwhelming! absolutely memorable! And the end of the concert it is time for mosh under the stage (and there we are!): really unthinkable to stand still and impassive! Absolutely one of the best concerts of the year!!!

With this incredible Atomic Bitchwax set ends the third chapter of a festival unique in its kind here in Italy. And if this edition has swept away the other two for the incredible bill, we can only hope (and trust!) that the fourth will go even further! Meanwhile ... stay rock, stay heavy, stay psych!!!
[E.R. + R.T.]

 

 





giovedì 3 novembre 2016

Heavy Psych Sounds Fest - Volume III - Day 1


Heavy Psych Sounds Fest - Volume III – Day 1
[Glowsun + Fuzz Orchestra + Mos Generator + Isaak]

Staccare da lavoro alle 19:30, precipitarsi in autostrada, ingoiare un panino lungo il tragitto per cercare di perdersi il meno possibile di questo primo giorno di Heavy Psych Sounds Fest – Volume III. Fatto. 

Entriamo al MU sulle note di Fountainhead degli Isaak e ci fermiamo subito nella prima saletta, davanti al palco più piccolo del Festival, per gli ultimi 20 minuti di concerto della band genovese. Quattro canzoni, tutte dal loro ultimo album, Sermonize. Volume esageratamente alto e distorsioni al massimo: il risultato è una bella legnata nei denti, che non penalizza la musica del quartetto. Giacomo H Boeddu sempre incredibile ed efficace alla voce (anche se un po’ divorata dai suoni mastodontici), ed anche il nuovo batterista dimostra un tiro ed una bravura davvero notevoli. Peccato essersi persi i Void Of Sleep ed i Black Bone, ma questo è comunque un grande inizio di serata!

Sul palco più grande, intanto si sono preparati i Mos Generator. Una profusione di riffs hard rock, dal retrogusto stoner, inonda il pubblico. Il tiro del trio americano ha una forte connotazione blues - evidente nel gusto e nel tocco degli assoli di Tony Reed, davvero grande chitarrista! – ma c’è anche spazio per suoni e passaggi più heavy, al limite della cavalcata metal. Qualche piccolo problema con la cassa spia per il chitarrista – che, da bravo rodie di se stesso, risolve la faccenda staccandola e mettendola da un lato! – ma nulla che intacchi minimamente la carica e l’impatto del loro live. 

Ritorno alla saletta piccola, ed è tempo di Fuzz Orchestra. È come calarsi in una colonna sonora frammentata e schizofrenica, che, di canzone in canzone, mostra le sue molte facce dapprima nascoste. L’atmosfera è quella da poliziottesco anni ’70, ma reinterpretato dai King Crimson di Red con una montagna di fuzz, qualche rallentamento schiacciante in stile Melvins e perfino qualche passaggio pesantissimo ai limiti dell’industrial. La sinergia di chitarra-basso-tastiera e samples è perfetta ed amplifica l’ipnotico stordimento indotto dalle dilatazioni e dalle ossessive pulsioni saturate di fuzz e ingigantite da un volume annichilente. Il loro heavy-noise si distacca un po’ dal resto delle bands del festival, ma è perfettamente a tema per la sua forza estraniante. Chi non li ha ancora sentiti dal vivo deve assolutamente rimediare!

Infine Glowsun. Un mare di effetti per la chitarra di Johan Jaccob, che guida il trio francese in un flusso di space rock dall’andamento sinusoidale, attraverso continui saliscendi di intensità sonora, fra aperture psichedeliche e accelerazioni più prettamente stoner (sempre comunque annegate in un mare di wah wah e flanger). L’impressione è quella di essere sospesi, in attesa di una ri-partenza che sembra non arrivare mai. Il suono viene continuamente rimodellato e trasformato, sfilacciando un po’ la compattezza dei brani. Un finale di serata tutto sbilanciato sull’atmosfera – piuttosto che sulla pesantezza ed il tiro – all’insegna di uno space rock lisergico e magmatico.

Dopo le prime due edizioni romane, l’Heavy Psych Sounds Fest trasloca al centro-nord, raddoppia i palchi e propone un bill incredibile ed imperdibile. Il MU è una location azzeccata sia dal punto di vista estetico, sia dal punto di vista logistico per l’alternanza delle bands su due palchi. Peccato, invece, per l’acustica – decisamente buona quella del palco grande, ahimè penalizzante quella del palco piccolo (almeno in questa prima serata). Le 13 bands in scaletta sono fra le più interessanti del panorama heavy-psych internazionale, e non è esagerato dire che si tratta di una “prima” assoluta per un paese come l’Italia che certo non brilla nell’ambito festival. Una ragione in più per essere stati presenti stasera e per non perdersi la seconda parte domani sera!

[E.R.+R.T.]



*** 

Heavy Psych Sounds Fest - Volume III – Day 1
[Glowsun + Fuzz Orchestra + Mos Generator + Isaak]

Leave the office at 19:30, rush on the highway, swallow a sandwich on the road trying to lose the least possible of this first day of Heavy Psych Sounds Fest - Volume III. Done.

We enter the MU on the notes of Isaak Fountainhead and we stop right away there in the first room, in front of the smallest stage of the festival, for the last 20 minutes of the set of the band from Genova. Four songs, all from their latest album, Sermonize. Overly high volume and distortion at its maximum: the outcome is a big whack in the teeth, that does not penalize the music of the quartet. Giacomo H Boeddu voice is amazing and effective as usual (although a bit devoured by the gigantic sound), as well as the new drummer shows remarkable groove and skill. Too bad to have missed Void Of Sleep and Black Bone, but this is still a great start to the evening!

In the meantime, on the biggest stage, Mos Generator got ready to play. A profusion of hard rock riffs with stoner aftertaste inundates the audience. The American trio has got a strong blues attitude - evident in the taste and touch of Tony Reed solos, really great guitarist! - but there is also room for heavier sounds and phrasings, really close to metal rides. Some minor problems with the monitor speaker for the guitarist - who, as good rodie of himself, solves the matter unplugging it and putting it by a side! - but nothing that minimally affects the impact of their live.

Back to the smaller room and it is time for Fuzz Orchestra. It is like immersing ourselves in a fragmented  schizophrenic soundtrack showing, from song to song, its many faces at first hidden. The atmosphere is that of  a 70s poliziottesco, yet reinterpreted by King Crimson of Red era with a mountain of fuzz, some overwhelming slowdowns in Melvins style and even some heavy shifts into industrial shores. The synergy of guitar-bass-keyboard and samples is perfect and it amplifies the hypnotic daze induced by dilations and obsessive beats saturated with fuzz and magnified by an annihilating volume. Their heavy-noise deviates a bit from the rest of the bands of the festival, but it is perfectly themed for its alienating force. If you do not have listened to them live, you absolutely have to look for their next gig!

Finally Glowsun. A sea of effects for Johan Jaccob guitar, leading the French trio into a sinusoidal stream of space rock, through continuous ups and downs of sound intensity, through psychedelic openings and more purely stoner acceleration (yet always drowned in a sea of wah wah and flanger). The impression is that of being suspended, waiting for a re-start that never arrives. The sound is continually reshaped and transformed, fraying a little bit the compactness of songs. A final of evening wholly unbalanced on atmosphere - rather than on heaviness and groove - in the name of a lysergic magmatic space rock.

After the first two Roman editions, Heavy Psych Sounds Fest has moved to the center-north of Italy, doubling the stages and offering an incredible, unmissable, bill. MU is a fitting location both from the aesthetic point of view and the logistic one, for the alternation of the bands on two stages. Too bad, however, for the acoustics - very good the one of the big stage, alas penalizing that of the small one (at least in this first evening). The 13 bands in the lineup are among the most interesting of heavy-psych international panorama, and it is no exaggeration to say that it is a absolute "prima" for a country like Italy, certainly not standing out for festivals. An additional reason for being here this evening and to not miss the second part tomorrow night!
[E.R. + R.T.]