martedì 31 ottobre 2017

Beastmaker – Inside the Skull


Beastmaker – Inside the Skull
(Rise Above Records, 2017)

Dolcetto o scherzetto? I Beastmaker tornano a suonare il campanello di casa nostra per offrirci tutto il loro repertorio di atmosfere horrorifiche degne dei film della Hammer. Li accogliamo con candelabri ricoperti di ragnatele, zucche con ghigno malefico, pipistrelli di plastica. Da bere (e non solo!) lo offrono loro. I loro vestiti sono impregnati più del fumo di marijuana che di quello dell’incenso adoperato durante una messa nera, infatti! Accettiamo con entusiasmo il loro travestimento (volutamente) fuori moda, studiato nei minimi dettagli, a dimostrazione di quanto questi tre ragazzi californiani siano sinceri appassionati dell’orrore d’altri tempi, quando gli effetti speciali erano caratterizzati esclusivamente da litri e litri di sangue finto. La ricetta è la stessa dell’Halloween dello scorso anno, dello splendido disco d’esordio Lusus Naturae. Riff sabbathiani puzzolenti di zolfo e dal tiro esaltante, uniti a melodie sghembe e acide che ondeggiano avanti e indietro come cantilene macabre. Quest’anno ci portano in dono un paio di cori cantati a due voci con Johanna Sadonis dei Lucifer e una dose massiccia di assoli di chitarra fieramente metal. Ma in generale i tre di Fresno hanno preferito lasciare inalterata la formula che l’anno scorso ci ha fatto divertire come dei matti. Canzoni brevi, immediate, con radici conficcate nel doom più classico, ma con un’elasticità e un’energia ai limiti dello stoner. Riff possenti, arpeggi sinistri, ritornelli macabri e ossessivi. I Beastmaker non sono certo un gruppo da effetto sorpresa, colpo di scena e salto sulla sedia, ma si confermano maestri nell’arte di creare atmosfera. I migliori figli dei fiori (del Male) con i quali trascorrere la notte di Halloween. Accendete le candele (e non solo quelle!): ci sarà da divertirsi!
[R.T.]

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Beastmaker – Inside the Skull
(Rise Above Records, 2017)

Trick or treat? Beastmaker come back to ring the doorbell of our home to offer us all their repertoire of horror atmospheres worthy of Hammer's movies. We welcome them with candelabra covered with cobwebs, pumpkins with bad grin, plastic bats. They treat us to drinks (and not only that!). Their clothes smell of marijuana smoke more than that of the incense used during black masses, indeed. We enthusiastically accept their (deliberately) outdated disguise, studied in the slightest detail, showing how much these three Californian guys are sincere passionate about horror movies of the past, when special effects were exclusively characterized by liters and liters of fake blood. The recipe is the same as last year's Halloween, with the wonderful debut album Lusus Naturae. Sulfur smelly sabbathian riffs, with an exciting groove, together with crooked acid melodies swaying back and forth as macabre lullabies. This year they bring us a couple of duets with Johanna Sadonis (Lucifer) and a massive dose of fiery metal guitar solos. But as a whole the three from Fresno preferred to leave unchanged the formula that entertain ourselves a lot last year. Short straightforward songs, rooted in the most classic doom, but with elasticity and energy typical of stoner. Strong riffs, grim arpeggios, macabre and obsessive refrain. Beastmaker are certainly not a band able to create surprise effects, coups de théâtre or jumping on the chair, but they are masters of the art of creating atmosphere. The best sons of the (Evil) flowers with whom to spend Halloween night. Light up the candles (and not just those!): we're going to have fun!
[R.T.]

venerdì 27 ottobre 2017

Desertfest Antwerp 2017 - Day 3


Desertfest Antwerp 2017 - Day 3
[Conan + Melvins + Kadavar + Saint Vitus + Church of Misery + Monolord + High Fighter]

Eccoci al gran finale. Ultimo giorno di festival. Quello con il bill da paura. Ci aspettavamo fuochi d'artificio, da quest'ultima giornata. E quello che abbiamo vissuto è stato un vero e proprio spettacolo di esplosioni pirotecniche, una migliore dell'altra.

Iniziamo con alcune scintille della musica degli High Fighter, nel Canyon Stage. L'assaggio è caratterizzato da suoni potenti, di grande impatto, e da una voce femminile che dà il meglio di sè quando spinge sulla rozzezza. Quando il loro sludge/stoner vira verso melodie da rock alternativo perdono un pò mordente, comunque nel complesso si dimostrano interessanti. 

I veri fuochi d'artificio iniziano quando entriamo nel Desert Stage per i Monolord. La musica dei Beatles ci accoglie nella sala, e la selezione musicale del dj, a base di fab four, si dimostra perfetta (e assolutamente non scontata!) per la giornata concertistica che andremo ad affrontare. E' trascorso un anno e mezzo da quel Desertfest londinese in cui i Monolord ci lasciarono a bocca aperta, nella bellissima cornice del Koko, e nel frattempo abbiamo adorato il loro Vaenir, per cui la voglia di rivederli live è enorme. La sala è gremita, e tutti vengono spettinati dalla potenza del suono del trio svedese, i cui riff a combustione lenta sono sia tanto pesanti e giganteschi da riempire l'intera sala, sia tanto dinamici da scuoterla fin dalle fondamenta. La voce carica di delay di Thomas Jäger avvolge il pubblico come una nube di fumo psichedelico, e l'ottima impressione che ci lasciano i brani del disco appena pubblicato, con il loro perfetto binomio di ricercatezza sonora e melodie semplici ed efficaci, ci fanno immaginare i Monolord come i fab three del doom metal.Per non parlare di canzoni come Empress Rising (per noi già un classico!), sorta di I Want You(She's So Heavy) doom! Imperdibili.

Sullo stesso palco salgono poi i Church of Misery. Con una band completamente rinnovata (per la seconda volta in 2 anni), il bassista Tatsu Mikami, unico membro storico della formazione, snocciola una serie di raccapriccianti racconti di serial killer in salsa sludge (nel senso originario del termine). Il fatto di avere un Phil Anselmo nipponico alla voce (Hiroyuki Takano) accomuna ancor di più il gruppo ai Down. Il Giappone che non ti aspetti e che ti sorprende. Anche se è noto il gusto per l'estremo e il disturbante che imperversa nell'underground giapponese, non ti aspetteresti certo una musica stoner doom di discendenza southern, piena di groove trascinante. Rumorosi, folli, divertenti e con un retrogusto malato (quello sì tipico del rock alternativo dagli occhi a mandorla!). Incredibili!

“Every time I'm on the street/ People laugh and point at me/ They talk about my length of hair / And the out of date clothes I wear…” Se c’è una band che è sempre stata fuori moda, e se ne è sempre vantata, quella sono i Saint Vitus. Ora che il revival doom è in pieno fermento, lo stato di culto della band è granitico e intoccabile. Nonostante non siano più outsider, i Saint Vitus non hanno però perso l’attitudine della band underground, come dimostrano ancora oggi dal vivo. Scott Reagers è il classico babbo metallaro che tutti sognerebbero di avere: lontanissimo dal presente, si diverte come un matto insieme a noi (i suoi figli!) che lo seguiamo da sotto il palco! E la sua voce è ancora potente e carica di una incredibile energia! D’altronde stiamo parlando di colui che ha forgiato il primo storico album della band, insieme a David Chandler! Altro metallaro sui generis, Chandler scarica sul pubblico una frenesia strabiliante, soprattutto se paragonata ai riff pachidermici e ai suoni ottundenti della sua chitarra. Con un cespuglio di capelli e una bandana a tenerlo in posizione, riesce a liberare tutta la sua carica incontrollabile con assoli amelodici e schizofrenici, che si contrappongono al groove oscuro dei suoi riff. Notevoli anche i due zii acquisiti - Pat Bruders ed Henry Vasquez - che forgiano una sezione ritmica devastante! Per tutti coloro che si sentono perennemente fuori moda (anche adesso che la storia ha ribaltato la percezione della band di Los Angeles, rendendo la sua musica “senza tempo”, e non più “fuori dal tempo”), questo è il concerto perfetto! Dopo una bellissima Saint Vitus,il finale con Born Too Late entra di diritto negli annali dei migliori di sempre. Una canzone simbolo e manifesto del pubblico del Desertfest, dedicata da Chandler a tutti i presenti! "I know I don't belong/ And there's nothing I can do/ I was born too late/ And I'll never be like you"

Si potrebbe essere già contenti così...e invece no! Sempre sul Desert Stage (oggi davvero impossibile da abbandonare!) salgono i tedeschi Kadavar e pare proprio che il pubblico del Trix stia per impazzire!!! L'ingresso sul palco dei tre berlinesi è da subito trascinante e potente come pochi altri. I suoni sono mastodontici e l'attacco di ogni singolo riff è perfetto. La voce di Lupus Lindemann risuona grande, senza cedimenti e sbavature. Tiger Bartelt, al centro del palco, cattura lo spettatore per quanto è scenograficamente perfetto alla batteria (senza nulla togliere alla sua bravura come musicista!). E sorprende - e non poco! - che in un'ora di musica non suonino un solo pezzo del tanto amato Berlin! Sorprende ancora di più se si pensa che in una scaletta priva di brani dal loro album ad oggi di maggior successo e ampiamente dedicata all'appena pubblicato Rough Times, la sensazione sia quella di averli avuti sul palco per 5 minuti o poco più! Finale beatlesiano ed esplosivo con la cover di Helter Skelter, impreziosita da suoni sporchi ed underground e da tutta la trascinante bellezza dei 60s. Le aspettative erano alte, e sono state ampiamente ripagate e superate! Ora non resta che aspettarli per il prossimo live e chiedergli l'esecuzione integrale di Berlin!

E' poi il turno degli headliner. Headliner che non hanno bisogno di presentazioni e su cui è difficile scrivere parole che non siano di quasi idolatria. Senza soluzione di continuità i Melvins suonano quasi un'ora e un quarto di riff pesanti, noise, delirio e I wanna hold your Hand (e dai con questi Beatles che imperversano!). Il tutto sotto la vigile approvazione di David Chandler , seduto sul palco, subito dietro di loro, ben visibile da tutto il pubblico. Buzz Osborne è sempre più astratto ed isolato nel suo mondo, e Dale Crover e Steven McDonald sono i suoi degni soci - e si esibiscono in siparietti da paura "a copertura" dell'alienazione del grande capo. Semplicemente mostruosi, possono fare quello che vogliono e fanno quello che vogliono. Tanto, qualsiasi cosa facciano, la fanno benissimo. Pubblico impietrito davanti a cotanta devastante potenza. Immensi.

Sarebbe quasi impossibile lasciare il Desertfest dopo lo spettacolo dei Melvins. Gli organizzatori lo sanno bene, ed infatti hanno piazzato sul Canyon Stage i Conan. Con i loro suoni bassissimi, pienissimi e marcissimi, sono quasi un balsamo per le nostre orecchie, e fungono quasi da camera di decompressione. Sempre compatti e potenti, accompagnati sul palco da bellissime animazioni video, il trio doom/sludge di Liverpool è sicuramente una band che non può mancare fra gli ascolti degli appassionati di queste sonorità. E come un anno e mezzo fa a Londra, si confermano una band dal grande impatto live.

Con questa domenica dal livello qualitativo mostruoso, che si colloca una spanna sopra al resto delle band di un cartellone ricchissimo e di altissimo livello, si conclude un Desertfest Antwerp che è riuscito a riconfermarsi come un evento imperdibile e si è forse perfino superato rispetto all'anno scorso! Salutare il Trix e tutto il popolo del Desertfest è uno di quei momenti che non vorresti affrontare mai. Ma come recita l'ultima pagina del librettino dell'evento "Thanks for coming, see you next year!".
[E.R. + R.T.]

 

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Desertfest Antwerp 2017 - Day 3
[Conan + Melvins + Kadavar + Saint Vitus + Church of Misery + Monolord + High Fighter]

Here we are at the grand finale. Last day of festival. With the wicked cool bill. We were expecting fireworks from this last day. And what we experienced was a real show of fire explosions, one better than the other.

Let's start with some sparks of High Fighter music at the Canyon Stage. The taste is characterized by powerful sounds of great impact, and a femal voice that gives the best of itself when it pushes on roughness. When their sludge/stoner turns to alternative rock melodies they lose a little bit of drive, however overall they prove to be interesting.

True fireworks start when we enter the Desert Stage for Monolord. Beatles music welcomes us in the hall, and the fab four dj's selection is perfect (and absolutely not to be taken for granted!) for the festival day we're going to face. It's been a year and a half since that Desertfest London where Monolord left us gobsmacked in the beautiful frame of Koko, and in the meantime we loved their Vaenir, so the desire to see them live once again is enormous. The venue is crowded, and the whole audience is overwhelmed by the sound power of the Swedish trio, whose slow-burning riffs are both heavy and gigantic to fill the entire hall, and so dynamic to shake it from the foundation. As a cloud of psychedelic smoke Thomas Jäger delayed voice envelops the audience, and the great impression left by the brand new songs, with their perfect combination of sound refinement and simple effective melodies, make us think of Monolord as doom metal fab three. Not to mention songs like Empress Rising (for us already a classic!), sort of doomish I Want You (She's So Heavy)! Unmissable.

The, on the same stage, Church of Misery. With a completely renewed lineup (for the second time in 2 years), bassist Tatsu Mikami, the only historical member of the band, rattles off a series of gruesome serial killer stories in sludge sauce (in the original sense of the term). Having a Japanese Phil Anselmo (Hiroyuki Takano) joins even more the band to Down. Japan you do not expect and that surprises you. Although the taste for the extreme and the disturbance in the Japanese unferground is well known, you certainly would not expect a stoner doom of Southern descent, rich in enthralling groove. Noisy, crazy, funny and with a sick aftertaste (this indeed so typical of alternative rock with almond eyes!). Incredible!

“Every time I'm on the street/ People laugh and point at me/ They talk about my length of hair / And the out of date clothes I wear…” If there is a band that has always been out of fashion, and has always boasted about it, that band is Saint Vitus. Now that the doom revival doom is in full swing, the cult status of the band is granitic and untouchable. Although they are no longer outsiders, Saint Vitus have not lost the underground attitude as they show live today. Scott Reagers is the classic metalhead father who everyone would dream of having: far away from the present, he enjoys himself together with us (his children!) following him from below the stage! And his voice is still powerful and full with incredible energy! Indeed, we are talking about the one who forged the first historical album of the band, along with David Chandler! Another sui generis metalhead, Chandler unleashes on the audience an amazing excitement, especially when compared to the pachydermic riffs and the stunning sounds of his guitar. With a bush of hair and a bandana to keep it in position, he is able to release all of his uncontrollable energy with amelodic and schizophrenic solos, in contrast with the dark groove of his riffs. Also remarkable are the two uncles in-law - Pat Bruders and Henry Vasquez - who devise a devastating rhythmic section! For those who are perpetually outdated (even now that the story has overturned the perception of the LA band, making its music "timeless", and no longer "out of time"), this is the perfect concert! After a beautiful Saint Vitus, the finale with Born Too Late goes right in the annals of the best ever. A song which is a synbol and a manifesto of Desertfest audience, dedicated by Chandler to all those present! "I know I don't belong/ And there's nothing I can do/ I was born too late/ And I'll never be like you"

You might already be happy with it... and yet no! Again on Desert Stage (today really impossible to quit!) the German Kadavar make the Trix audience go crazy!!! The entry on the stage of the three Berliners is as delightful and powerful as just a few others. Sounds are mastodontic and the attack of each riff is perfect. The voice of Lupus Lindemann resonates great, without drops or flaws. At the center of the stage, Tiger Bartelt captures the spectator as he is spectacularly perfectly on drums (without lessening his skills as a musician!). And it surprises - and not a little! - that in an hour of music they do not perform one track of the beloved Berlin! Surprising even more if you think that in a setlist without songs from their most successful album to date and largely devoted to the brand new Rough Times, the feeling is that of having had them on stage for 5 minutes or so! Beatles explosive finale with Helter Skelter cover, embellished with dirty underground sounds and the alluring beauty of the 60s. Expectations were high, and they were widely repayed and overcome! Now we just have to wait for their next live and ask them for the full performance of Berlin!

It's then the turn of the headliners. Headliners who do not need presentations and on which is hard to write words that are not nearly idolatry. Seamlessly Melvins sound almost an hour and a quarter of heavy riffs, noise, delirium, and I want to hold your Hand (Beatles again!). All this under the watchful approval of David Chandler, sitting on stage immediately behind them, well visible from the whole audience. Buzz Osborne is increasingly abstract and isolated in his world, and Dale Crover and Steven McDonald are its worthy fellows - and they perform in absurd gags "to cover" the alienation of the big boss. Simply monstrous, they can do what they want and they do what they want. Beacuse whatever they do, they do it amazingly well. Stunned audienced in front of so much devastating power. Gigantic.

It would be almost impossible to leave Desertfest after Melvins show. Organizers know it well, and indeed they scheduled Conan on Canyon Stage. With their very low rotten sounds, they are almost a balm for our ears, and they almost act as a decompression chamber. Always compact and powerful, accompanied on stage by beautiful video animations, the Liverpool doom/sludge trio is definitely a band that cannot be missed by enthusiasts of these sounds. And like a year and a half ago in London, they confirmed to be a band with a big live impact.

This monstruous quality level Sunday, which places itself a span over the rest of the bands of a very rich and top-notch billboard, concludes a Desertfest Antwerp that has been able to reconfirm itself as an unmissable event and perhaps even surpassed last year edition! Saying goodbye to the Trix and all the Desertfest people is one of those moments you would never want to face. But as stated in the last page of the booklet of the event: "Thanks for coming, see you next year!".
[E.R. + R.T.]

 

 

 




lunedì 23 ottobre 2017

Desertfest Antwerp 2017 - Day 2

 

Desertfest Antwerp 2017 - Day 2
[Graveyard + Windhand + Beastmaker + Unsane + Church of the Cosmic Skull + White Manna + Stoned Jesus + The Vintage Caravan]

Il Sole splende e fa ancora più caldo di ieri, ed inauguriamo questa seconda - densissima!!! - giornata di Desertfest con The Vintage Caravan. Ed è un inizio col botto! Verranno anche da un luogo gelido come l'Islanda, ma la loro musica è bruciante di energia e passione. Con un mix azzeccatissimo di psichedelia e hard rock esplicitamente vintage, fatto di riff carichi di tiro, di fraseggi funambolici e di alcune melodie davvero catchy fatte apposta per conquistarti al volo, il trio di Reykjavík riesce ad entusiasmare il gremitissimo main stage del Trix. Ed è davvero impossibile riuscire a restare immobili e non farsi trascinare dall’energia positiva di questa band!

La seconda band di quest'oggi sono gli ucraini Stoned Jesus. Stoner doom di matrice sabbathiana con una sensibilità melodica da band alternativa degli anni '90, con un cantato dalla forte connotazione osborniana. Melodie che sembrano provenire dal “giardino del suono” di Seattle e che trovano spazio tra riff potenti e possenti, rallentati e chirurgici nella loro precisione. E se vogliamo trovare una "pecca" al trio di Kiev, forse è proprio la mancanza di un po' di imprevedibilità e di un pizzico di improvvisazione in più, che renderebbe la loro musica ancor più viva e fluida. 

Cambio drastico di rotta nel passaggio al Vulture Stage dove i White Manna ci rapiscono con la loro psichedelia dall'alto tasso di acidità, assolutamente libera da strutture rigide. Riffs liquidi e spaziali, che talvolta si arroventano in dissonanze noise che diventano veri e propri muri di suono al di sopra del tappeto - portante - di synth dall'atmosfera cosmica. Voci sdoppiate a rendere ancora più alienante questo fiume in piena di suoni e sensazioni. Un vero trip.

E per non farsi mancare nulla quanto a delirio, i Church of the Cosmic Skull sono senz'altro la scelta giusta. Completamente di bianco vestiti, salgono sul Canyon Stage accompagnati da proiezioni di arcobaleni e con voce meccanica fuori campo a scandire ammonimenti fra il liturgico ed il lisergico. Con una profusione di voci e cori, con una moltitudine di suoni (fra cui hammond e violoncello elettrico), storditi dai mille colori delle luci e delle proiezioni, la sensazione è quella di essere di fronte ad una comune di freakettoni, moderni The Mamas & The Papas dello psych-prog. Davvero un'esperienza atipica!

Lo shock termico del passaggio da questa festa feliciona all'ultra-violenza all'Arancia Meccanica degli Unsane è notevole. Il trio di New York annichilisce il pubblico del Desert Stage con i suoi pezzi taglienti, sferzanti, potenti e - al tempo stesso - impeccabili. Non un cedimento nella voce di Chris Spencer, né in quella di Dave Curran. Non una sbavatura negli intrecci di dissonanze rugginose, figuriamoci nel controllo di feedback e rumore. Chirurgici. Un'ora di post-hardcore dall'alto contenuto di ferocia. Una band con 30 anni di carriera, ma che è icona del presente.

Dopo il gelo dell’acciaio da sala operatoria, è il turno del calore del metallo fuso, secondo la ricetta alchemica del doom più tradizionale. Non vogliamo perderci un assaggio di Beastmaker, e quindi corsa al piano superiore, nel Canyon Stage. Nella metà di concerto che sentiamo, la band di Fresno propone solo brani dal nuovo Inside the Skull e la resa dal vivo è veramente notevole. Orgogliosamente di genere, la band americana possiede un groove tipicamente stoner in un contesto di doom sepolcrale di matrice sabbathiana, con strizzatine d’occhio all’horror rock. Riff e melodie tanto polverosi quanto coinvolgenti. Da non perdere!

E approfondiamo il livello di doom con la travolgente potenza della lentezza dei Windhand. Una lentezza a tratti sfinente, ma al tempo stesso emozionante grazie al cantato straniante e stordente di Dorthia Cottrell (dal vivo meno psichedelico e più oscuro rispetto alle registrazioni in studio). E se i suoni all'inizio non sono perfetti, la loro messa a punto rivela la pienezza e pesantezza di una musica degna del migliore stregone elettrico, e - su tutti - risalta il basso di Parker Chandler e gli assoli spaziali della chitarra di Garrett Morris. Più di metà set dedicato al bellissimo ultimo album - Grief's Infernal Flower - per un live di grande fascino ed impatto.

La smania di riuscire a sentire il numero più alto possibile delle bands che avevamo inserito nella nostra wishlist, ci ha fatto fare un po' di corse e un po' di tappe forzate. Riusciamo quindi a ritagliarci una piccola pausa di relax giusto prima degli headliner di stasera.

L'anno scorso avevano dato forfait all'ultimo, lasciando organizzatori e partecipanti a bocca asciutta. Quest'anno i Graveyard rimediano, tornando a campeggiare a lettere cubitali nel ricco bill, con un nuovo batterista e in tutta la loro grandezza. Salgono sul palco in punta di piedi con le delicate note di Slow Motion Countdown, e riescono a suonare travolgenti anche con molti pezzi lenti e d’atmosfera. Le loro canzoni di matrice sessantiana e settantiana, la cui struttura si è nutrita e si nutre però dei suoni del presente, sono l’apice della giornata, e dimostrano quanto questa band sia tutt’altro che morta. E se tutti sono grandissimi musicisti, la voce di Joakim Nilsson svetta per la sua bellezza e potenza, riecheggiando in alcuni momenti quella di Robert Plant. Un concerto davvero incredibile, che chiude nel migliore dei modi questa seconda giornata di festival!
[E.R. + R.T.]

 
 

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Desertfest Antwerp 2017 - Day 2
[Graveyard + Windhand + Beastmaker + Unsane + Church of the Cosmic Skull + White Manna + Stoned Jesus + The Vintage Caravan]

The Sun shines and the air is even warmer than yesterday, and we inaugurate this second - full packed!!! - day at Desertfest with The Vintage Caravan. And it's a start with the bang! They come from a frosty place like Iceland, but their music is burning with energy and passion. With a really inspired mix of psychedelia and vintage hard rock, made of groovy riffs, great phrasings and some really catchy tunes made to win you over at first listening, the Reykjavik trio thrills the incredibly crowded main stage of Trix. And it is really impossible to stand still and not to be dragged from the positive energy of this band!

The second band today are the Ukrainian Stoned Jesus. Stoner doom of Sabbath matrix with the melodic sesitivity of 90s alternative bands, with vocals with strong osbornian connotation. Melodies that appear to come from Seattle "garden of sound" and find their place among powerful and heavy riffs, slow and surgical in their precision. And if we want to find a "flaw" in the Kiev trio, maybe it's just a lack of some unpredictability and of a bit of extra improvisation that would make their music even more vivid and fluid.

Drastic change of direction in the passage to Vulture Stage where White Manna enchant us with their extremely acid psychedelia, absolutely free from rigid structures. Liquid and spatial riffs, which sometimes result in noise dissonances that become real walls of sound above the - load-bearing - carpet of synths of cosmic atmosphere. Splitted voices to make this flood of sounds and sensations even more alienating. A real trip.

And in order to avoid a lack of delirium, Church of the Cosmic Skull is undoubtedly the right choice. Completely white dressed, they get on Canyon Stage accompanied by rainbow projections and mechanical voice-over articulating warnings of both liturgical and lysergic nature. With an abundance of voices and choirs, with a multitude of sounds (including hammond and electric cello), stunned by the many colors of lights and projections, the sensation is to be in front of a freak community, modern The Mamas & The Papas of the psych-prog. A really atypical experience!

The thermal shock of the transition from this ultra-happy party to the A-Clockwork-Orange-ultra-violence of the Unsane is really remarkable. The New York trio annihilates Desert Stage audience with its cutting, lashing, powerful and - at the same time - impeccable songs. Not a yielding in Chris Spencer's voice, nor in Dave Curran's one. Not a flaw in the interweaving of rusty dissonances, not a flaw in the control of feedback and noise. Surgical. One hour of post-hardcore with an elevated content of ferocity. A band with 30 years of career, but that is icon of the present.

After the freezing chill of operating room steel, it is the turn of the molten metal heat, according to the alchemical recipe of the most traditional doom. We do not want to miss a taste of Beastmaker, and so we run upstairs in the Canyon Stage. In the half concert we listen to, the band from Fresno plays only songs from the new Inside the Skull and their live performance is really remarkable. Proudly genre-related, the American band possesses a typically stoner groove in a context of burial doom of sabbathian matrix, with winking at horror rock. Riffs and melodies so much dusty as engaging. Not to be missed!

And we deepen the level of doom with the overwhelming power of Windhand slowness. At times exhausting, but at the same time exciting, thanks to the alienatine and stunning singing of Dorthia Cottrell (a little less psychedelic and a bit darker than in studio recordings). And if at the beginning sounds are not perfect, their tuning reveals the fullness and weight of a music worthy of the best electric wizard, and - on everyone - stand out for Parker Chandler's bass guitar and Garrett Morris's guitar space solos. More than half of the set dedicated to their beautiful latest album - Grief's Infernal Flower - for a live of great fascinaition and impact.

The desire to be able to listen to the highest number of bands we had included in our wishlist, made us run and left us with a few stops. Then we manage to have a little relaxation just before tonight headliners.

Last year they cancelled the show at the last moment, leaving organizers and participants empty-handed. This year Graveyard fix it, with their name in foreground in the rich bill, with a new drummer and in all their greatness. They get on stage on tiptoe with the delicate notes of Slow Motion Countdown, and they sound overwhelming even playing many slow atmospheric pieces. Their songs of 60s and 70s matrix, whose structure has been nourished and is nourished by the sounds of the present, are the peak of the day, and they show how much this band is no dead at all. And if the whole band is made of great musicians, the Joakim Nilsson voice stands out for its beauty and power, echoing at Robert Plant in a few moments. A truly amazing concert, which closes this second day of festival in the best way possible!
[E.R.+R.T.]
 
 
 
 



venerdì 20 ottobre 2017

Desertfest Antwerp 2017 - Day 1


Desertfest Antwerp 2017 - Day 1
[Radio Moscow + Lowrider + All Them Witches + Caronte + Kaleidobolt]

E' bello tornare dopo un anno esatto ad un festival che si è tanto amato. Ancora di più se si pensa che il bill di quest'anno supera forse anche quello già incredibile dell'anno scorso. Non parliamo poi del fatto che è stata quasi un'impresa riuscire ad arrivare, e che infatti il primo giorno me lo vedo sostanzialmente da sola, ad eccezione dei Radio Moscow.

Sarà che si chiama Desertfest e forse questo ha la sua influenza, ma c'è da dire che il tempo è bellissimo, fa caldo e a metà ottobre mi ritrovo a camminare verso il Trix con la sola t-shirt ed il sole che mi abbaglia. Mi impossesso del braccialetto prima dell'orario d'ingresso e sono fra i primi ad entrare, con tanto di scoppio di coriandoli ad inaugurare quella che si rivelerà esser una 3 giorni clamorosa.

Mi accaparro subito la t-shirt dell'evento e, birra in mano, mi dirigo verso il giardino ancora semi-vuoto, ma che presto inizia ad affollarsi di appassionati da tutte le parti del mondo. Passaggio radente dal Vulture Stage dove i Kaleidobolt inaugurano il festival con la loro psichedelia progheggiante, con forti tinte anni settanta e l'andamento di una jam, e mi dirigo verso il piano superiore.

La prima band su cui mi concentro sono gli italiani Caronte, che "battezzano" il Canyon Stage con il loro rituale doom, completo anche di "benedizione" con incenso. Con il loro nuovo album - YONI - in uscita imminente, il quartetto parmense mi fa entrare in questo festival nel modo più buio e occulto, attraverso potenti bordate di doom wizardeggiante, da cui si stacca in maniera distintiva la voce potente e ricca di enfasi di Dorian Bones. 

Sono gli All Them Witches, però, a farmi entrare nel cuore di questo festival con le loro vibrazioni ed un tiro incredibile! Psichedelia, space rock, blues ed un tiro da paura. L'ora di concerto della band di Nashville scorre via in un attimo, trascinata dalle ritmiche serrate e - a tratti - frammentate, in cui si inseriscono aperture lisergiche che "stonano" l'ascoltatore anche senza l'ausilio di "additivi". Si è di fronte ad una band capace di fondere insieme le sue molteplici influenze in un'ottica sperimentale, il cui risultato non è la semplice stratificazione delle sue molte anime, bensì un qualcosa di personale e pulsante, che nella dimensione live, ancor più che su disco, rapisce l'ascoltatore. Per me, band del giorno!

Il tempo di una pausa cibo-birra-sigaretta nell'animata area all'aperto, e torno nel buio del Desert Stage per gli svedesi Lowrider. Con un solo album all'attivo (Ode to Io, registrato nel 1999 e rimasterizzato e mandato in stampa proprio quest'anno), il quartetto di Karlstad ha la capacità di surriscaldare il main stage del Trix con il suo stoner rock potente, di diretta discendenza kyussiana, fatto di riff catchy e strofe che si imprimono subito nella mente.

Infine, sempre sul Desert Stage (a cui evidentemente mi sono subito affezionata!), è il turno dei Radio Moscow. Tutta l'energia di una infinita jam session, fatta dei suoni degli anni '60/'70, animata da blues e hard rock da un lato, e da psichedelia - con virate prog - dall'altro. E con una voce calda e potente, ricca di personalità. L'origine californiana di questo power trio si sente tutta, e non manca una strizzatina d'occhio ai suoni del deserto, in quello che in definitiva è un concerto senza pause di riflessione, che corre a rotta di collo attraverso inseguimenti di riffs e improvvisazioni ai limiti dell'assolo. Un gran finale per questa prima giornata!
[E.R.]

 
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Desertfest Antwerp 2017 - Day 1
[Radio Moscow + Lowrider + All Them Witches + Caronte + Kaleidobolt]

It's great to be back after an exact year at a festival that you loved so much. Even more if you think that this bill surpasses even the incredible one of last year. Without mentioning the fact that it was almost a trouble to be able to arrive, and in fact I attend the first day basically alone, with the exception of Radio Moscow.

Maybe because it is called Desertfest and perhaps this has its influence, but the weather is beautiful, it's hot and in mid-October I find myself walking to the Trix with the t-shirt and the sun dazzling me. I took the wristband before the opening hour and I am among the first to enter, with confetti to inaugurate what will turn out to be a glorious 3 days.

I immediately grab up the t-shirt of the event and, beer in my hand, I head toward the still semi-empty garden, that soon begins to get crowded with enthusiasts from all over the world. A passage from the Vulture Stage where Kaleidobolt are inaugurating the festival with their proggy psychedelia, with strong seventies flavours and the taste of a jam, and then I head to the top floor.

The first band I focus on is the Italian Caronte who "baptize" the Canyon Stage with its doom ritual, complete with a "blessing" with incense. With their new album - YONI - in upcoming release, the quartet from Parma makes me enter this festival in the darkest and most occult way, through powerful riffs of Electric Wizard inspired doom, from which Dorian Bones powerful emphatic voice distinctively stands out.

However All Them Witches are the ones to get me into the heart of this festival with their vibrations and their incredible groove! Psychedelia, space rock, blues and amazing riffs. The one hour of concert of the Nashville band runs away in a moment, dragged by the quick compact and - sometimes - fragmented rhythmics, with lysergic openings that "dope" the listener even without the help of "additives". A band able to blend together its many influences with an experimental attitude, the result of which is not the simple stratification of its many souls, but a personal and pushing thing, which in the live dimension, even more than on recordings, bewitches the listener. For me, band of the day!

The time of a food-beer-cigarette break in the lively outdoor area, and back in the Desert Stage for the Swedish Lowrider. With only one album in their career (Ode to Io, recorded in 1999 and remastered and reissued this year), the Karlstad quartet has the ability to overheat Trix main stage with its powerful, direct rock stoner of Kyuss descent, made of catchy riffs and refrains that get immediately imprinted into the mind.

Finally, always on the Desert Stage (which I has become immediately fond of!), is the turn of Radio Moscow. All the energy of an infinite jam session, made of the sounds of the 60s/70s, animated by blues and hard rock on the one hand, and psychedelic - with prog hints - on the other. And with a warm powerful voice, rich in personality. Californian origins of this power trio shows themselves clearly, and there is also a wink at the sounds of the desert, in what is ultimately a concert with no pauses of reflection, which runs at breakneck speed through chases of riffs and improvisations on the edge of solos. A great final for this first day!
[E.R.]

 

giovedì 12 ottobre 2017

House of Broken Promises + Monolith - 03.10.2017 - Ganz Of Bicchio (Viareggio, LU)


House of Broken Promises + Monolith - 03.10.2017 - Ganz Of Bicchio (Viareggio, LU)

I concerti infrasettimanali sono sempre ostici da raggiungere per me che vivo ai margini dei centri della cultura  musicale e della musica dal vivo. Ma per fortuna esistono piccole realtà che vanno contro la tendenza qui imperante, e che mi svoltano la settimana, dandomi l'illusione di essere a Milano, Bologna o Roma.

Questo martedì sera al Ganz Of Bicchio aprono i modenesi Monolith. La potente voce del cantante è la prima cosa che colpisce e cattura l'ascoltatore. Ed è sicuramente un elemento distintivo, nonché un punto di forza della band. Cresciuto a pane, Soundgarden e Chris Cornell, Andrea Marzoli con la sua voce e le sue linee vocali fa risaltare tutta l'attitudine di matrice grunge di una band che si muove non solo a partire da queste radici, ma anche attraverso lo stoner rock e l'hard rock di matrice anni '90. Suoni potenti e riff efficaci per un gran inizio di serata.

E poi House of Broken Promises e ci troviamo di fronte a tre mostri da palcoscenico. Massicci, sfrenati, duri e puri, mischiano abilmente del polveroso e sudato stoner anni '90, con la sfrenatezza di certo hard rock da biker in puro stile anni '80. Nato dalle ceneri degli Unida (Mike Cancino alla batteria e Arthur Seay alla chitarra), questo power trio vibra di tutta la carica dei suoni nati nel cuore desertico della California, resi ancora più accesi dal rombo di una moto lanciata a tutta velocità verso l'ennesimo boccale di birra e la prossima spogliarellista. I tre non risparmiamo né un riff né una goccia di sudore. Si divertono come matti (incredibili le continue smorfie di Arthur Seay, nonché il fantastico siparietto-duetto chitarra/batteria - a suon di frammenti di grandi classici rock - in attesa del ritorno del bassista Joe Mora, finito chissà dove!) e fanno divertire come matti i presenti. E in tutto questo suonano terribilmente bene. Volete qualcosa di più?
[E.R.]


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House of Broken Promises + Monolith - 10.03.2017 - Ganz Of Bicchio (Viareggio, LU)

Midweek concerts are always hard to reach for me living far from the centers of live music. Fortunately there are small venues that go against the prevailing trend, and they enlighten my week, giving me the illusion of being in Milan, Bologna or Rome.

Monolith, from Modena, open this Tuesday evening at Ganz Of Bicchio. The powerful voice of the singer is the first thing that strikes and captures the listener. And it is definitely a distinctive element as well as a strong point of the band. Grown up with Soundgarden and Chris Cornell, Andrea Marzoli with his voice and vocal lines emphasizes all the grunge attitude of a band that moves not only from these roots, but also through stoner rock and 90s hard rock. Powerful sounds and effective riffs for a great start of the evening.

And then House of Broken Promises and we are faced with three monsters of the stage. Massive, unbridled, hard and pure, they  skillfully blend the dusty sweaty stoner of the 90s, with the bravado of certain bikers-hard-rock in pure 80s style. Born from the ashes of Unida (Mike Cancino on drums and Arthur Seay on guitar), this power trio vibrates with all the amazing energy of the sounds born in the desert heart of California, making even more burning thanks to the roar of a motorcycle launched at full speed to the next beer and the next stripper. The three do not spare either a riff or a drop of sweat. They have fun like crazy (incredible Arthur Seay's constant grimace, as well as the fantastic sketch-duet guitar/drum - playing fragments of great rock classics - waiting for bassist Joe Mora return, gone who knows where!) and they let all the audience have fun. And all of while they play terribly well. Do you want something more?
[E.R.]

martedì 10 ottobre 2017

Dead Cross - Dead Cross


Dead Cross - Dead Cross
(Ipecac Recordings, Three One G, 2017)

Giunto alla soglia dei 50 anni, Mike Patton continua a mostrare evidenti sintomi di quella sindrome di Peter Pan che può ormai essere definita incurabile. Quando il suo compagno di giochi (e di  Fantômas) Dave Lombardo lo ha contattato per unirsi a lui nel suo nuovo giocattolo, i Dead Cross, Mike ha nascosto le sue t-shirt hardcore tra i libri di scuola, ed è scappato di casa, zaino in spalla, su uno skateboard, di soppiatto dalla mamma. L'amico Dave lo ha portato sulla cattiva strada presentandogli due compagni di gioco pesantemente dipendenti dalla violenza sonora: Mike Crain e Justin Pearson (quest'ultimo anche bassista dei The Locust). Arrivato in sala prove Mike ha trovato un giocattolo già avviato, con canzoni già pronte, ma si è subito divertito a sostituire le linee vocali composte dal precedente cantante (Gabe Serbian). Così Mike è ricaduto nel vecchio vizio di pestare pesante, come ai tempi della sua collaborazione con i Dillinger Escape Plan. Il risultato di questa gang di teppistelli cresciutelli è un disco folle e ultraviolento nel quale le sghembe e deliranti melodie pattoniane donano una tetra atmosfera da film horror in un chainsaw massacre tipicamente splatter di sfuriate thrash metal e marcissimi riff hardcore. La nebbia plumbea di Bela Lugosi's Dead dei Bauhaus è il momento di "respiro" in un disco che per il resto corre a mille all'ora (straordinaria la prestazione di Lombardo), come un sedicenne con la maglia dei DRI su uno skateboard. Se l'età non consente a Patton grandi acrobazie sullo skate (come dimostra il recente incidente con la tavola), questa non inficia minimamente la sua "giovinezza artistica", degna infatti di un teenager carico di ormoni. Mike si dimostra infatti il perfetto compagno di giochi per i Dead Cross, che si sono divertiti a comporre una musica folle, adrenalinica ed esaltante.
[R.T.]
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Dead Cross - Dead Cross
(Ipecac Recordings, Three One G, 2017)

Almost at the age of 50, Mike Patton continues to show obvious symptoms of Peter Pan's syndrome, which can now be considered incurable. When his playmate (and Fantômas-mate) Dave Lombardo contacted him to join him in his new toy, Dead Cross, Mike hid his hardcore t-shirts among school books and ran away from home, with his backpack, on a skate. His friend Dave led him down a bad road, introducing him to two playmates heavily addicted to sound violence: Mike Crain and Justin Pearson (the latter also bassist of The Locust). Arrived in the rehearsal room Mike found an already launched toy, with songs already written, but he immediately enjoyed replacing the vocal lines composed by the former singer (Gabe Serbian). So Mike has fallen again into the old habit of ultra heaviness like at the time of his collaboration with Dillinger Escape Plan. The result of this gang is a crazy and ultra-violent album, in which Patton crooked and delirious melodies give a horror movie gloomy atmosphere to a typically splatter chainsaw massacre made of thrash metal angry outbursts and super-rotten hardcore riffs. The plumbee mist  of Bauhaus' Bela Lugosi's Dead is the only moment to "have a breathe" in a record that runs a thousand per hour (extraordinary performance of Lombardo), like a teenage with the DRI t-shirt on a skate. If age does not allow Patton big tricks on the skateboard (as his recent skate accident shows), this does not affect his "artistic youth", which is worthy of a teen full with hormones. Mike is the perfect playmate for Dead Cross, who had fun composing crazy, fast-paced and exalting music.
[R.T.]

domenica 8 ottobre 2017

1000 Mods - Repeated Exposure To...


1000 Mods - Repeated Exposure To...
(Ouga Booga And The Mighty Oug Recordings, 2016)

Ecco dalla Grecia una nuova edizione aggiornata del dizionario della musica heavy. Alla definizione di "Stoner rock" leggiamo "riff pesanti e rotondi come il culo di un elefante, con un groove da corsa in macchina (decapottabile) sotto il Sole cocente del deserto Californiano, suoni sabbiosi e fumo di marijuana a pieni polmoni". Questa definizione minuziosa e calzante del genere è messa in musica da un quartetto del Peloponneso che dimostra di conoscere molto bene l'argomento trattato. I 1000 Mods hanno studiato con attenzione la lezione dei maestri (principalmente quanto lasciato in eredità dai Kyuss) e compongono un disco straordinariamente avvincente per quanto esplicitamente di genere. Il segreto per creare grandi canzoni, anche se profondamente circoscritte ad uno stile saturo come lo stoner, sta nella semplicità. "Riff travolgenti, melodie orecchiabili, rallentamenti possenti alternati ad esaltanti accelerazioni, distorsioni grasse e volumi mastodontici". Questo è tutto ciò di cui necessita un disco stoner, secondo la definizione del dizionario heavy pubblicato in Grecia. I 1000 Mods ne hanno afferrato il senso in pieno, mettendolo in pratica con questo album!
[R.T.]
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1000 Mods - Repeated Exposure To...
(Ouga Booga And The Mighty Oug Recordings, 2016)

Here is from Greece an updated new edition of the heavy music dictionary. At the definition of "Stoner rock" we read "heavy riffs round like the ass of an elephant, with the groove of a car race under the burning Sun of the Californian desert, sandy sounds and lungs saturated with marijuana smoke". This meticulous and fitting definition of the genre is put into music by a Peloponnesian quartet that proves to know the subject very well. 1000 Mods carefully studied the lessons of the masters (mostly what was left in the legacy of Kyuss) and so they compose an extraordinarily engaging yet explicitly genre-related record. The secret to creating great songs, though deeply circumscribed in a saturated style like stoner, lies in simplicity. "Overwhelming riffs, catchy melodies, powerful slowdowns alternating with exciting accelerations, fat distortions and mastodontic volumes." This is all you need for a stoner album, according to the definition of the heavy dictionary published in Greece. 1000 Mods understood it in full, putting it into practice with this album!
[R.T.]