venerdì 28 dicembre 2018

Top 20 Live Concerts 2018


Our personal selection of live concerts seen in 2018, in chronological order:


[E.R.+R.T.]

mercoledì 26 dicembre 2018

Top 5 Cover Artworks 2018


Our personal selection of cover artworks of 2018 albums, in alphabetical order:


  • Calibro 35 - Decade (Artwork: SoloMacello)
  • Marnero - Quando vedrai le navi in fiamme sarà giunta l'ora (Layout: JdR; Illustrazioni e lettering del booklet: Inchiostro Lisergico)
  • Sleep - The Sciences (Model Craft and Photography by: Jason Roeder; Layout and Composition by: Josh Graham)
  • Uncle Acid & the Deadbeats - Wasteland (Cover Design: Julian Montague; Collages: Computarded)
  • Weedpecker - III (Artwork and Layout Design by: Maciej Kamuda)
[E.R. + R.T.]

lunedì 24 dicembre 2018

Deafheaven – Ordinary Corrupt Human Love


Deafheaven – Ordinary Corrupt Human Love
(Anti-, 2018)

Fissare il Sole troppo a lungo può bruciare le retine. I Deafheaven hanno da sempre sfidato i raggi accecanti, filtrando la luce diretta con una nuvola di nebbia stordente e rifrangendola poi attraverso strati di ghiaccio norvegese. La loro musica è una gelida giornata invernale, limpida e abbagliante, in grado di regalare piccoli lampi di tepore sotto i raggi diretti del Sole, ma capace di trasformarsi velocemente in una tempesta di neve. Proprio questa ambivalenza ha reso i Deafheaven una creatura unica nel panorama della musica alternativa, in continuo equilibrio tra black metal, post hardcore, post rock e shoegaze, e di conseguenza una delle più amate / odiate. Con il quarto album la nebbia si dirada e il ghiaccio si scioglie, come nel giorno in cui l’inverno sfocia nella primavera. Ordinary Corrupt Human Love è l’equinozio, l’attimo in cui le sfuriate di gelido vento del nord si trasformano in brezza pronta a trasportare il polline della rinascita. Una metamorfosi accolta con un senso di fiducia e speranza, sotto lo sguardo del Sole. La band di San Francisco racconta l’ordinarietà di un amore attraverso continue citazioni letterarie (lo stesso titolo dell’album è tratto da Fine di una Storia di Graham Greene) e una musica stratificata e complessa, talvolta perfino barocca. L’iniziale You Without End, ad esempio, è un affresco luminoso che ricorda molto da vicino l’apertura di pianoforte di Mellon Collie and the Infinite Sadness. Ma è solo l’inizio, perchè il sentimentalismo enfatico dei migliori Smashing Pumpkins avvolgerà anche le sfuriate più violente. Ogni amore nasconde precari equilibri sul ciglio dell’ossessione e della nevrosi, e quello raccontato dai Deafheaven non è da meno. Nella ricerca della pace si nasconde una continua inquietudine, così come le acide e schizofreniche urla di George Clarke si nascondono tra lampi di estasi e soffusa serenità. Fissare il Sole troppo a lungo, alla continua ricerca di calore, può davvero bruciare la nostra vista, e nutrire l’ossessione che cresce nella nostra anima.
[R.T.]
*** 

Deafheaven – Ordinary Corrupt Human Love
(Anti-, 2018)

Staring at the Sun too long can burn retinas. Deafheaven have always challenged the blinding rays, filtering direct light with a cloud of stunning fog and then refracting it through layers of Norwegian ice. Their music is a cold, clear and dazzling winter day, able to release small flashes of warmth under the direct rays of the Sun, but able to quickly turn itself into a snowstorm. Precisely this ambivalence has made Deafheaven a unique creature in the panorama of alternative music, in constant balance between black metal, post hardcore, post rock and shoegaze, and consequently one of the most loved/hated. With the fourth album the fog clears and the ice melts, as on the day when winter flows into spring. Ordinary Corrupt Human Love is the equinox, the moment when the blasts of freezing northern wind turn into a breeze ready to carry the pollen of rebirth. A metamorphosis welcomed with a sense of trust and hope, under the gaze of the Sun. The San Francisco band recounts the ordinariness of a love through continuous literary quotations (also the title of the album is taken from Graham Greene's End of a Story) and a stratified, complex music, sometimes even baroque. The initial You Without End, for example, is a bright fresco that closely resembles the piano opening of Mellon Collie and the Infinite Sadness. But it is only the beginning, because the emphatic sentimentality of the best Smashing Pumpkins will also envelop the most violent outbursts. Every love hides precarious balances on the edge of obsession and neurosis, and the one told by Deafheaven is no exception. In the search for peace there is a continuous restlessness, as well as George Clarke's acid and schizophrenic screams are hidden between flashes of ecstasy and soft serenity. Staring at the Sun too long, in the constant search for heat, can really burn our sight, and nourish the obsession that grows in our soul.
[R.T.]

venerdì 21 dicembre 2018

Low – Double Negative


Low – Double Negative
(Sub Pop, 2018)

Ho conosciuto i Low una sera d’estate del 2003, in Piazzale Michelangelo a Firenze. Suonavano di spalla ai Radiohead, e alle loro spalle si apriva la visione della città dall’alto, con le curve dell’Arno che scivolavano tra i monumenti. La delicata, fragile e romantica musica del gruppo americano lasciò perplesso gran parte del pubblico, che attendeva gli inni generazionali di Karma Police, Creep e High and Dry, non accorgendosi che i Radiohead, in tour per promuovere Hail to the Thief, erano già oltre. Anzi, erano tornati “indietro”, scarnificando le loro canzoni da slanci di emotività corale verso un’intimità e una solitudine ricche di atmosfere autunnali e sperimentazioni elettroniche. Un’intimità perfettamente in sintonia con quella dei Low - icona di quel rock indipendente al quale la band di Thom Yorke guardava con sempre maggiore ammirazione. Quindici anni dopo, ascoltando Double Negative, è ancora più evidente quanto i Radiohead (e con loro i Low) avessero ragione, ed il loro pubblico torto. Il rock che conoscevamo negli anni '90 è ormai morto, e ciò che ne rimane sono schegge di melodia e rumore nascoste nel sottosuolo, dove elettrico ed elettronico convivono. Frammenti che, in questo 2018, i Low mettono su disco come se fossero riflessioni personali e momenti di vita vissuta raccolti in un diario, senza una trama organizzata e lineare, né tantomeno facilmente decifrabile. Non è più tempo per atti di resistenza basati sulla condivisione della sofferenza e dell’inadeguatezza da racchiudere in memorabili singoli radiofonici. Il nuovo millennio ha generato frammentazione della società, alienazione e solitudine. Attraverso eteree melodie e malinconici intrecci vocali, demoliti da pulsazioni di rumore elettronico ai limiti dell’industrial, i Low cantano l'ormai avvenuta disgregazione - sia personale che sociale. Mai così tanto vicini ai Radiohead di quindici anni fa, ma anche ai lunghi silenzi dei Bark Psychosis, o alla dissoluzione melodica dei My Bloody Valentine, per non parlare degli esperimenti che da Peter Gabriel giungono a Chelsea Wolfe, i Low ci regalano una musica rappresentativa del presente in cui viviamo. Una musica che nella sua profonda oscurità è una luce di speranza proprio per il fatto di esistere nonostante tutto.
[R.T.]
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Low – Double Negative
(Sub Pop, 2018)

I knew Low one summer evening in 2003, in Piazzale Michelangelo in Florence. They played as support band for Radiohead, and behind them there was an amazing view of the town from up above the hill, with the curves of Arno sliding between monuments. The delicate, fragile and romantic music of the American band puzzled most of the audience, who was waiting for the generational anthems of Karma Police, Creep and High and Dry, not realizing that Radiohead, on tour to promote Hail to the Thief, were already gone beyond. Actually, they had come "back", scarifying their songs from the rush of choral emotionality towards an intimacy and a solitude full of autumnal atmospheres and electronic experiments. An intimacy perfectly in tune with that owned by Low - icon of that independent rock to which Thom Yorke's band was watching with increasing admiration. Fifteen years later, listening to Double Negative, it is even more evident how much Radiohead (and with them Low) were right, and their public wrong. The rock we knew in the 90s is now dead, and what remains of it are splinters of melody and noise hidden in the subsoil, where electric and electronic coexist. Fragments that, in this 2018, Low put on record as if they were personal reflections and life moments collected in a diary, without an organized and linear plot, nor easily decipherable. It is no longer time for acts of resistance based on the sharing of suffering and inadequacy to be contained in memorable radio singles. The new millennium has generated fragmentation of society, alienation and loneliness. Through ethereal melodies and melancholic vocal interlaces, demolished by pulsations of electronic noise at the limits of industrialism, Low sing the by now occurred disintegration - both personal and social. Never so close to fifteen-years-ago-Radiohead, but also never so close to Bark Psychosis' long silences, or to My Bloody Valentine's melodic dissolution, not to mention the experiments that from Peter Gabriel come to Chelsea Wolfe, Low give us a music which representative of the present in which we live. A music that in its profound obscurity is a light of hope precisely because it exists in spite of everything.
[R.T.]

lunedì 17 dicembre 2018

VVitch Festival - 25.11.2018 - Circolo Magnolia (Milano)

 

VVitch Festival - 25.11.2018 - Circolo Magnolia (Milano)
[Frizzi 2 Fulci + Celeste + Belzebong + KEN Mode + Birds In Row + Coilguns + The Necromancers]

Un filo rosso, ed in realtà profondamente nero, attraversa questo festival di fine novembre, ospitato dal Circolo Magnolia. Sette i gruppi in cartellone. Sette modi diversi di declinare l'oscurità dell'animo umano. Ma un comune sentire, una condivisa sensibilità per ciò che è sepolto nelle pieghe più buie dell'esistenza.

Si parte presto, alle 14:30, con i francesi The Necromancers. Un inizio potente, fatto di riff doom accelerati da cavalcate alla Iron Maiden, con un importante componente di sapore horrorifico. Il quartetto di Poitiers convince e riscalda e diverte il pubblico ancora scarso, ma decisamente entusiasta.

A seguire i Coilguns, con sfuriate e deliri degni di una bella camicia di forza. Il quartetto svizzero è capitanato da un istrionico e tarantolato Louis Jucker, che schizza da una parte all'altra del palco, aggirandosi per lo più fra il pubblico con cui interagisce incessantemente. Un post hardcore noise e tagliente, a perdifiato, che non lesina né potenza né rabbia, e che dal vivo dà il meglio di sé. Grande rivelazione live.

In zona hardcore/post hardcore, i francesi Birds in Row alternano la parte più veloce e violenta del genere ad aperture quasi post rock, in cui riprendere respiro e perdersi in riflessioni. Riflessioni che sono spesso sollecitate da Bart Hirigoyen (voce e chitarra), che si sofferma a parlare con il pubblico, veicolando messaggi che mirano ad indicare un'alternativa e una possibilità positiva, di nuova e altra umanità, capace di superare l'orrore e la sofferenza che permeano questo mondo. Anche nel buio più pesto è possibile scorgere sfumature e cercare una fonte di luce.

I KEN Mode sono una micidiale macchina da guerra. Il loro nome è l'abbreviazione di Kill Everyone Now Mode, dal libro di Henry Rollins Get in the Van: On the Road With Black Flag, ma a me fa pensare a Ken Il Guerriero - e non credo che sia un'associazione di idee così forzata. La musica del trio di Winnipeg è un noise efferato e fisico che travolge e annichilisce, tingendo di nero e acciaio ogni superficie sulla quale impatta. Precisione chirurgica e incredibile bravura convergono e sostengono canzoni fatte di rabbia e violenza, che ti entrano dentro e ti scavano in profondità. Enormi.

Freno a mano e virata gommosa con i polacchi Belzebong. E posso solo confermare le ottime impressioni del concerto di settembre all'Elav Stoner Open Air. Il loro doom sulfureo e "a luci verdi", avvolto in nuvole di fumo e privo di parole, è un perfetto trip in cui indugiare, ondeggiando fuori tempo sui loro riff sabbathiani e marci. Tutto quello che si può desiderare dallo stoner doom, e una piccola pausa dalla ferocia del resto della line-up del festival.

I francesi Celeste ci fanno scendere in profondità nelle viscere di un non-luogo, tanto umano quanto naturale. I loro frontali rossi sono l'unico barlume di speranza in una nebbia densa di disperazione e oscurità. L'impatto non è quello di un anno fa a Bologna, ma la forza della loro musica, di questa perfetta alchimia di post hardcore e black metal, è comunque prorompente e ipnotica. Un viaggio ctonio che non possiamo permetterci di perdere. 

E per finire, qualcosa di decisamente non ordinario. Fabio Frizzi, alla guida di una mini-orchestra, omaggia il maestro dell'horror Lucio Fulci attraverso alcune fra le più belle colonne sonore da lui composte per i film del regista romano. Non solo concerto, ma anche "chiaccherata" con un compositore che racconta la sua passione, che coincide con il suo lavoro di una vita. Sette note in nero, L'Aldilà... e tu vivrai nel terrore!, Paura nella città dei morti viventi sono solo alcuni dei momenti chiave del set, che si conclude con un bis incredibile (che non si capisce come non faccia parte della scaletta ufficiale): il finale de L'Aldilà. Un concerto che va al di là della musica, facendosi racconto. Un set che stacca decisamente da tutte le band che lo hanno preceduto, ma che con esse condivide l'universo di immagini, ambientazioni e suggestioni oscure.

Questo primo VVitch Festival ha avuto la capacità ed il merito di riunire sotto il suo nome band molto interessanti e variegate da un punto di vista stilistico, ma affini da un punto di vista tematico. Un'impresa tutt'altro che semplice, e che ha rappresentato anche una sorta di sfida per il pubblico, che tendenzialmente ragiona per generi e compartimenti stagni. Il pubblico avrebbe sicuramente potuto essere più numeroso ed il cartellone lo avrebbe meritato. Ma il pubblico presente non era lì per caso e l'impressione palpabile era quella di ascoltatori inclini a questo progetto e che si sono goduti dalla prima all'ultima nota di questo evento. Un seme importante è stato piantato e la speranza è che cresca forte, nutrito dall'oscurità. Personalmente aspetterò la seconda edizione a novembre 2019.
[E.R.]

 
 

 

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VVitch Festival - 25.11.2018 - Circolo Magnolia (Milano)
[Frizzi 2 Fulci + Celeste + Belzebong + KEN Mode + Birds In Row + Coilguns + The Necromancers]

A common thread, and actually deeply black, runs through this festival at the end of November, hosted by Circolo Magnolia. Seven bands on the bill. Seven different ways to decline the darkness of the human soul. But a common feeling, a shared sensibility for what is buried in the darkest folds of existence.

It starts early, at 2.30 pm, with the French The Necromancers. A powerful kick-off, made of doom riffs accelerated by Iron Maiden school rides, with an important component of horrorific flavour. The quartet from Poitiers convinces and warms and entertains the still not numerous, but decidedly enthusiastic audience.

To follow Coilguns, with outbursts and ravings worthy of a straitjacket. The Swiss quartet is led by a histrionic and possessed Louis Jucker, who jumps from one side of the stage to the other, wandering mostly among the audience with whom he interacts incessantly. A noisy and sharp post hardcore, at breakneck speed, that does not spare power or anger, and that gives its best on stage. Great live revelation.

In hardcore/post hardcore area, the French Birds in Row alternate the faster and more violent part of the genre with almost post-rock openings, in which to take breath and get lost in reflections. Reflections that are often solicited by Bart Hirigoyen (voice and guitar), who talks with the audience, conveying messages that aim to indicate an alternative and a positive possibility, of a new and different humanity, able to overcome the horror and the suffering that permeate this world. Even in the pitch dark you can see nuances and look for a source of light.

KEN Mode are a deadly war machine. Their name is the abbreviation of Kill Everyone Now Mode, from Henry Rollins' book Get in the Van: On the Road With Black Flag, but it makes me think of Ken The Warrior - and I do not think it's a so forced association of ideas. The music of the trio from Winnipeg is a brutal and physical noise that overwhelms and annihilates, dyeing black and steel every surface on which it impacts. Surgical precision and incredible skill converge and support songs made of anger and violence, which enter you and dig deep. Gigantic.

Handbrake and gummy turn with the Poles Belzebong. And I can only confirm the good impressions of their concert last September at the Elav Stoner Open Air. Their sulphurous and "green light" doom, wrapped in clouds of smoke and without words, is a perfect trip in which to linger, swaying out of time on their Sabbathian and rotten riffs. Everything you could desire from stoner doom, and a little break from the ferocity of the rest of the festival line-up.

The French Celeste make us go deep into the bowels of a non-place, as much human as natural. Their red headlams are the only glimmer of hope in a fog full of despair and darkness. The impact is not that of a year ago in Bologna, but the strength of their music, of this perfect alchemy of post hardcore and black metal, is still irrepressible and hypnotic. A chthonic journey that we can not afford to lose.

And finally, something definitely not ordinary. Fabio Frizzi, at the helm of a mini-orchestra, pays homage to the horror master Lucio Fulci through some of the most beautiful soundtracks he composed for the Roman director's movies. Not only concert, but also "chat" with a composer who tells his passion, which coincides with his life's work. Sette note in nero, L'Aldilà... e tu vivrai nel terrore!, Paura nella città dei morti viventi are just some of the key moments of the set, which ends with an incredible encore (which I cannot understand why it was not part of the official setlist): the final theme of L'Aldilà. A concert that goes beyond music, becoming a story. A set that definitely separates from all the bands that preceded it, but that shares with them the universe of obscure images, settings and suggestions.

This first edition of VVitch Festival has had the ability and the merit to bring together under its name very interesting bands - varied from a stylistic point of view, but similar from a thematic one. An enterprise far from simple, and which also represented a sort of challenge for the audience, which tends to think in terms of genres and closed communities. The audience could certainly have been more numerous and the bill deserved it. But the participants were not there by chance and the palpable impression was that of listeners inclined to this project and who enjoyed from the first to the last note of this event. An important seed has been planted and the hope is that it will grow strong, nourished by darkness. Personally I will wait for the second edition in November 2019.
[E.R.]
 

 

 



giovedì 13 dicembre 2018

L’Ira del Baccano – Si Non Sedes Is - Live MMVII


L’Ira del Baccano – Si Non Sedes Is - Live MMVII
(Subsound Records, 2018)

Tutto inizia da qui. La trasformazione alchemica si attua nel corso di due concerti tenutisi nel 2007 a Genzano. E’ qui che i Loosin ‘o’ Frequencies diventano una band strumentale, e immortalano il momento in una registrazione che solo oggi, a più di 10 anni di distanza, assume forma fisica. Ed è proprio con questa registrazione tra le mani, nel 2008, che la band decide di cambiare il proprio nome in L’Ira del Baccano e di rendere la sua musica disponibile a tutti, nella forma liquida di mp3 pubblicati online. Da allora la registrazione di quei concerti si è solidificata nella coscienza di molti appassionati dell’underground, contribuendo a rendere L’Ira del Baccano come uno dei nomi più interessanti in sede live. L’ultima, indispensabile, trasformazione, ci consente di inserire nella nostra discografia, a fianco dei due album in studio, una copia fisica di questo preziosissimo documento, a tutti gli effetti il primo parto della band romana. Attraversiamo la porta alchemica (Si non sedes is è un’epigrafe incisa su tale monumento nascosto nel cuore di Roma) per renderci conto di quanto la band fosse già allora matura per concepire ciò che è venuto dopo. Ovvero una dilatazione e deformazione dei suoni pesanti, a tratti doom e sabbathiani, in ampie e ariose suite progressive dalla struttura fluida e cangiante, ai limiti dello space rock (echi di Coma Divine e Space Ritual al di là della porta). Trasmutazione di piombo in oro, attraverso jam libere e scorrevoli. Musica svincolata da limitazioni di genere che assorbe passato e presente, trasformandoli in un futuro assolutamente personale. Processo alchemico perfettamente riuscito.
[R.T.]
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L’Ira del Baccano – Si Non Sedes Is - Live MMVII
(Subsound Records, 2018)

It all starts here. The alchemical transformation takes place during two concerts in 2007 in Genzano. It is here that Loosin 'o' Frequencies become an instrumental band and capture this moment in a recording that only today, more than 10 years later, takes on physical form. And it is with this recording in its hands, in 2008, that the band decides to change its name in L'Ira del Baccano and to make its music available to everyone, in the liquid form of mp3 published online. Since then the recording of those concerts has solidified in the conscience of many fans of the underground, contributing to make L'Ira del Baccano one of the most interesting names as live act. The last, indispensable, transformation, allows us to insert in our discography, alongside the two studio albums, a physical copy of this precious document, to all effects the first brainchild of the Roman band. We cross the alchemical gate (Si non sedes is is an epigraph engraved on this monument hidden in the heart of Rome) to realize how much the band was already then mature to conceive what came later. That is a dilatation and deformation of heavy sounds, sometimes doom and sabbath influenced, in vast airy progressive suites with a fluid and iridescent structure, on the borders of space rock (echoes of Coma Divine and Space Ritual beyond the door). Transmutation of lead into gold, through free flowing jams. Music freed from genres limitations, able to absorb past and present, transforming them into an absolutely personal future. Perfectly successful alchemical process.
[R.T.]

lunedì 10 dicembre 2018

Lucifer – Lucifer II


Lucifer – Lucifer II
(Century Media, 2018)

Lucifer nasce da un rapporto a distanza. Ma necessita di concreta collaborazione per svilupparsi. Tramontata quella tra la chitarra di Gaz Jennings e la voce di Johanna Sadonis, è grazie all’unione concreta tra la cantante e il suo compagno Nicke Andersson (Entombed, The Hellacopters) che viene a ricrearsi l’alchimia necessaria affinché venga alla luce il secondo capitolo della saga. Questa nuova unione non può che determinare un risultato estremamente diverso dal precedente. Quasi la sua antitesi. La fascinazione per i misteri e le oscurità dell’antico Egitto (che nel primo album prendevano vita attraverso un doom metal dalle tinte occulte) è accecata stavolta dalla luce abbagliante di un raggio di Sole che più che nordafricano sembra californiano. C’è aria di libertà, più che di catacomba. Dietro un velo enigmatico e oscuro, i Blue Öyster Cult nascondevano una robusta anima rock n’ roll. E proprio a quella si ispirano i nuovi Lucifer che, pur mantenendo un’ambigua componente sulfurea (soprattutto in Phoenix e Faux Pharaoh), la colorano con arcobaleni di melodia e riff morbidi e rotondi. Un blues rock che pare sorgere direttamente dai primi anni '70, con ancora qualche influsso della summer of love. Un atteggiamento fiducioso, romantico e raggiante che nessuno avrebbe mai associato all’angelo caduto, ma che proprio per questo sorprende (o sconcerta, a seconda dei gusti) dimostrando quanto egli sia in grado di cambiare pelle allontanandosi dai cliché di genere.
[R.T]
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Lucifer – Lucifer II
(Century Media, 2018)

Lucifer comes from a long distance relationship. But it needs concrete collaboration to develop. Faded that between Gaz Jennings guitar and Johanna Sadonis voice, it is thanks to the concrete union between the singer and her partner Nicke Andersson (Entombed, The Hellacopters) that is recreated the alchemy necessary to the second chapter of the saga to come to light. This new union can only determine a result which is extremely different from the previous one. Almost its antithesis. The fascination for the mysteries and obscurities of ancient Egypt (which in the first album took life through a dark-coloured doom metal) is blinded this time by the dazzling light of a ray of the Sun that seems Californian more than North African. There is air of freedom, more than that of a catacomb. Behind an enigmatic and obscure veil, Blue Öyster Cult hid a robust rock n 'roll soul. And that is what inspired the new Lucifer that, while maintaining an ambiguous sulphurous component (especially in Phoenix and Faux Pharaoh), colour it with rainbows of melody and soft round riffs. A blues rock that seems to rise directly from the early 70s, with still some influence of the summer of love. A confident, romantic and radiant attitude that no one would ever associate with the fallen angel, but exactly for this reason it surprises (or disconcerts, according to taste) proving how much he is able to change skin moving away from genre clichés.
[R.T.]

venerdì 7 dicembre 2018

Kotiomkin – Lo Albicocco al Curaro - Decameron 666


Kotiomkin – Lo Albicocco al Curaro - Decameron 666
(Subsound Records, 2018)

Un libro inesistente. Se ne conosce solo il titolo. Gli unici che l’hanno letto sono i Kotiomkin che decidono di raccontarcelo attraverso i loro strumenti: basso e synth per Enzo P. Zeder, batteria per Gianni Narcisi. Come si intuisce già dalla bella copertina del disco (opera di Popoki) che pare la locandina di un B-movie anni '70, quello dei Kotiomkin è un racconto cinematografico che ricostruisce le atmosfere di una storia che è già cult prima ancora di esser stata scritta. L’albicocco al curaro, infatti, è il libro giallo che il ragionier Fantozzi deve consegnare alla contessina Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare alla stazione, e che lo costringe ad inseguire il treno mentre cerca il nome del colpevole tra le pagine. Il disco del duo si nutre con gusto dei frutti del cinema di serie B anni '70, mischiando con fantasia i generi. C’è tanta commedia sexy boccaccesca nel funk ballabile di Fatal Commestio o nei lascivi e succosi suoni del basso di Sexy Averno, che paiono sgocciolare lussuria. Ma c’è soprattutto molto veleno nella musica di chi non ha paura ad avventurarsi nelle lande tenebrose dell’Aldilà, soprattutto con il suono sinistro del synth. Alcuni schemi ritmici lasciano in bocca il sapore del rock progressivo anni '70 (e di nuovo torna la fascinazione per l’Italia del passato), ma il tutto è amalgamato con sensibilità contemporanea, talvolta anche con distorsioni e pulsazioni che paiono provenire dal pianeta Morkobot. La colonna sonora di un racconto solo immaginato dal ragionier Fantozzi poteva avere una colonna sonora più cult di questa? Impossibile.
[R.T.]
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Kotiomkin – Lo Albicocco al Curaro - Decameron 666
(Subsound Records, 2018)

A nonexistent book. Only its title is known. The only ones who read it are Kotiomkin who decide to tell it through their instruments: bass and synth for Enzo P. Zeder, drums for Gianni Narcisi. As you can already guess from the beautiful cover of the album (Popoki's work) which looks like the poster of a 70s B-movie, that of Kotiomkin is a cinematographic tale that reconstructs the atmosphere of a story that is already cult even before it has been written. Indeed, L'albicocco al curaro is the crime novel that accountant Fantozzi must deliver to the countess Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare at the railway station, and that forces him to chase the train while looking for the name of the criminal in the pages. The album of this duo feeds with taste the fruits of 70s B-movies, mixing with fantasy the different genres. There is a lot of licentious sexy comedy in the danceable funk of Fatal Commestio or in the lascivious juicy sounds of the bass in Sexy Averno, which seems to drip lust. But above all there is a lot of poison in the music of those who are not afraid to venture into the dark lands of the Beyond, especially with the sinister sound of the synth. Some rhythmic patterns leave the taste of 70s progressive rock (and again it returns the fascination for Italy of the past), but everything is amalgamated with contemporary sensibility, sometimes even with distortions and pulsations that seem to come from planet Morkobot. The soundtrack of a story only imagined by accountant Fantozzi could have a more cult soundtrack than this? Impossible.
[R.T.]

mercoledì 5 dicembre 2018

Orange Goblin – The Wolf Bites Back


Orange Goblin – The Wolf Bites Back
(Candlelight Records, Spinefarm Records, 2018)

Lemmy è vivo e lotta insieme a noi. O almeno insieme a Ben Ward. La casa del cantante degli Orange Goblin è probabilmente munita di tempio votivo in onore del Sig. Kilmister, dal quale ha tratto sicuramente ispirazione per onorare al meglio il suo antenato nel nono disco in studio dei suoi Orange Goblin. Esplicitamente dedicata ai membri dei Motorhead che non sono più tra noi, una canzone come Renegade ne è la chiara dimostrazione (così come la collaborazione con Phil Campbell in un paio di canzoni). Ma oltre che per i propri avi, Ben ha una profonda ammirazione anche per i suoi discepoli, al punto da ispirarsi ai Red Fang con lo stoner fangoso di Sons of Salem e Swords of Fire. Da sempre Ben è persona attenta ad assorbire lo spirito del tempo nel quale vive, senza dimenticare le sue origini. Proprio così ha costruito la personalità della sua band, che dalla seconda metà degli anni 90 è uno dei capisaldi di quel suono che si muove sul filo tra stoner ed heavy metal, tra antico e moderno. Con un altro disco massiccio ed estremamente variegato (si passa dalle sfuriate di purissimo hardcore di Suicide Division ai fluidi e psichedelici riff blues di The Stranger) la band londinese conferma di conoscere e di saper manipolare ogni elemento costitutivo della materia pesante, dalle sue componenti più umide e psichedeliche a quelle più secche, compatte, esplicitamente metal. 
[R.T.]

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Orange Goblin – The Wolf Bites Back
(Candlelight Records, Spinefarm Records, 2018)

Lemmy is alive and fights with us. Or at least together with Ben Ward. The house of the Orange Goblin singer is probably equipped with a votive temple in honour of Mr. Kilmister, from which he certainly took inspiration to honour his ancestor in the ninth studio album of his Orange Goblin. Explicitly dedicated to Motorhead members who are no longer among us, a song like Renegade is its clear demonstration (as well as the collaboration with Phil Campbell in a couple of songs). But in addition to his ancestors, Ben has a deep admiration for his disciples, to the point of being inspired by Red Fang with the muddy stoner of Sons of Salem and Swords of Fire. Ben has always been careful to absorb the spirit of the time in which he lives, without forgetting his origins. That's how he built the personality of his band, which since the second half of the 90s is one of the cornerstones of that sound moving on the edge between stoner and heavy metal, between ancient and modern. With another massive mani-sided album (we pass from the purely hardcore rash of Suicide Division to the fluid psychedelic blues riffs of The Stranger) the London band confirms to know and to know how to manipulate every element constituting the heavy material, from its most wet and psychedelic to the driest, compact, explicitly metal ones.
[R.T.]

lunedì 3 dicembre 2018

Belzebong – Light the Dankness


Belzebong – Light the Dankness
(self released, Emetic Records, Abraxas, 2018)

“Il gioco è bello quando dura poco”. Chi si diverte ancora oggi ad ascoltare questi gruppi stoner doom che passano il tempo cercando giochi di parole a tema marijuana (anziché scrivendo canzoni veramente originali) e atteggiandosi continuamente a sudici drogati, nonostante la loro musica sia così ben codificata e socialmente accettata da essere del tutto innocua? Io. Ebbene sì, io sono uno di quelli che continua a divertirsi. Perché questa musica è come una pizza margherita: semplice, conosciuta da tutti, ma squisita se fatta a regola d’arte. Non cerco la sorpresa in una margherita: cerco un gusto conosciuto per trascorrere una piacevole serata. Al terzo disco, i polacchi Belzebong confermano di saper modellare questo impasto con abilità (aggiungendo un pò di erba in mezzo alla farina, ovviamente) rendendolo "gommoso" a dovere prima di cuocerlo. Quattro lunghi brani strumentali ai quali abbandonarsi senza tante seghe mentali, coccolati da riff rotondi e pesanti, e da assoli spaziali, che ci condurranno inevitabilmente allo stordimento. Ma prima di abbandonarsi ai nuvoloni di fumo e alle risate insensate con gli amici, con il suo incedere sinistro e un po’ paranoico da “Goatsnake che si fanno passare il bong dagli Electric Wizard”, la traccia d’apertura (The Bong of Eternal Stench) ci ricorda che se si mischiano troppe sostanze si rischia di trascorrere la serata maledicendo se stessi. Alla fine della pizzata non avremo iniziato una rivoluzione per risolvere i problemi del nostro tempo, ma ci saremmo certamente divertati come matti nell’assurda idea di progettarla. 
[R.T.]

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Belzebong – Light the Dankness
(self released, Emetic Records, Abraxas, 2018)

We have an idiomatic expression saying that the game is funny when it is short. Who still enjoys listening to all these stoner doom bands spending their time looking for marijuana-themed puns (rather than writing really original songs) and continually posing for dirty junkies, despite their music is now so well coded and socially accepted to be harmless? Me. Yes, I am one of those who still has fun. Because this music is like a pizza margherita: simple, known by everyone, but exquisite if done to perfection. I'm not looking for the surprise in a margherita: I'm looking for a known taste to spend a pleasant evening. With their third album the Polish Belzebong confirm that they can model this dough with skill (adding a bit of weed to flour, of course) making it properly "gummy" before cooking it. Four long instrumental tracks to which abandon ourselves without so many mental masturbations, cuddled by round heavy riffs and space solos, which will inevitably lead us to stunning. But before abandoning ourselves to clouds of smoke and insane laughter with friends, with its sinister and a bit paranoid gait à la "Goatsnake taking the bong from Electric Wizard", the opening track (The Bong of Eternal Stench) reminds us that if you mix too many substances you risk spending the evening cursing yourself. At the end of the pizza party we will not have started a revolution to solve the problems of our time, but we would certainly have had a blast with the absurd idea of planning it.
[R.T.]

venerdì 30 novembre 2018

Zippo - Ode To Maximum (Reissue)


Zippo - Ode To Maximum (Reissue)
(Spikerot Records, 2018)

Nel 2006 avevo anch'io una band, con il secondo demo da poco in circolazione, che inviavo alle varie webzine per pareri e recensioni. Fra gli altri, lo inviai anche a Davide Straccione, il cantante degli Zippo. Zippo che proprio in quell'anno facevano uscire il loro primo album - Ode To Maximum - e che mi feci spedire proprio da Davide (che lo accompagnò con un biglietto nel quale si augurava che il disco mi piacesse, e mi prometteva che avrebbe ascoltato con attenzione e poi recensito il mio demo). Se mi è piaciuto l'album di esordio degli Zippo? Certamente, e non poco! E pensare che era solo il primo - ma già significativo - passo di una band che ha poi fatto uscire altri 3 album, sempre in continua crescita ed evoluzione, sulla spinta di una costante ricerca stilistica e musicale, sempre estremamente personale. Sono passati quasi 13 anni dall'uscita del'autoprodotto Ode To Maximum, e dopo circa un decennio di soldout, ecco che l'album di esordio viene ristampato dalla Spikerot Records, con una nuova fantastica veste grafica (opera di Davide Mancini - Dartworks), e per la prima volta in vinile. Non solo. La tracklist è arricchita da due bonus (Night Jam #2, versione alternativa/distorta della quinta traccia, registrata ai tempi di The Road To Knowledge, e July, cover degli Slo Burn), e il mastering è stato affidato a Tony Reed (Mos Generator, Stone Axe). Le canzoni non risultano stravolte dal remastering, bensì arricchite nella profondità e nell'attacco dei suoni, e di alcuni passaggi in particolare. Un nuovo suono che valorizza tanto la struttura e la costruzione dei pezzi, quanto la versatilità, bellezza e potenza delle linee vocali. Ma un altro aspetto estremamente interessante ed importante di questa ristampa, è che se da un lato dà la possibilità di conoscere da dove sono partiti gli Zippo per chi Ode To Maximum non l'ha mai posseduto (e magari neppure mai ascoltato), dall'altro lato offre l'opportunità a chi (come me) li conosce da sempre di rispolverare e riscoprire questo album, e di rilevare quanto sia ancora attuale e quanto contenga al suo interno molti dei semi successivamente sviluppatisi. Perché se il debutto degli Zippo è un un perfetto album stoner rock e una canzone come The Elephant March è un incredibile pezzo stoner doom/heavy psych (così travolgente da essere ancora oggi la chiusura dei loro concerti), Night Jam ha in sé una respiro quasi progressivo, e Tsunami Dust un piglio grunge e decisamente anni '90. Per non parlare di S.n.a.p.r.s.t. che nel turbine delle sue parti più pesanti ed aggressive trova perfino lo spazio per aperture quasi jazz. Tutti questi semi c'erano tredici anni fa, si sono sviluppati e trasformati attraverso The Road To Knowledge (2009), Maktub (2011) e After Us (2016), e ci sono ancora adesso riascoltando questa deluxe reissue: radici fondamentali ed essenziali di una band ormai cresciuta e che continua a protendere e sviluppare i suoi molti rami.
[E.R.] 
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Zippo - Ode To Maximum (Reissue)
(Spikerot Records, 2018)

In 2006 I also had a band. The second demo recently released, I was sending it to various webzines for opinions and reviews. Among others, I also sent it to Davide Straccione, Zippo singer. Precisely in the same year Zippo released their first album - Ode To Maximum - and I asked Davide to send me a copy of their cd (accompanied by a note in which he hoped that I liked the record, and he promised that he would have carefully listened to my demo, and then reviewed it). If I liked Zippo debut album? For sure, and so much! And it was only the first - but already significant - step of a band that then released other 3 albums, always in continuous growth and evolution, driven by a constant stylistic and musical research, always extremely personal. Almost 13 years have passed since the release of Ode To Maximum, and after about a decade of soldout, now the debut album is reissued by Spikerot Records, with a new awesome artwork (by Davide Mancini - Dartworks) , and for the first time on vinyl. Not only. The tracklist is enriched by two bonus (Night Jam #2, alternative/distorted version of the fifth track, recorded at the time of The Road To Knowledge, and July, Slo Burn cover), and the mastering has been entrusted to Tony Reed (Mos Generator, Stone Axe). Songs are not revolutionized by remastering, yet enriched in the depth and groove of the sounds, and of some passages in particular. A new sound that enhances both the structure and construction of the pieces, as well as the versatility, beauty and power of the vocal lines. But another extremely interesting and important aspect of this reissue is that if on one hand it gives the possibility to know where Zippo came from for whom never owned Ode To Maximum (and maybe never even heard it), from another side it offers the opportunity to those who (like me) has always known them to dust off and rediscover this album, and to notice how much it is still relevant today and how much it contains within it many of the seeds later developed. Because if Zippo's debut is a perfect stoner rock album and a song like The Elephant March is an amazing stoner doom/heavy psych piece (so overwhelming as to be still the closing of their concerts), Night Jam has got an almost progressive breath, and Tsunami Dust a grunge, decidedly 90s, attitude. Not to mention S.n.a.p.r.s.t. that in the whirlwind of its heavier and more aggressive parts it even finds space for almost jazz openings. All these seeds were there thirteen years ago, they have developed and transformed through The Road To Knowledge (2009), Maktub (2011) and After Us (2016), and there are still now listening to this deluxe reissue: fundamental and essential roots of a band that has grown up and continues to extend and develop its many branches.
[E.R.]

martedì 27 novembre 2018

Electric Wizard + Ufomammut + Humulus – 18.11.2018 – Live Club (Trezzo sull’Adda, MI)



Electric Wizard + Ufomammut + Humulus – 18.11.2018 – Live Club (Trezzo sull’Adda, MI)

Voglio bene agli Electric Wizard e agli Ufomammut come se fossero i miei fratelli maggiori. Sono cresciuto insieme alla loro musica, e, al tempo stesso, loro sono cresciuti davanti ai miei occhi. Mi hanno aperto i timpani a nuovi suoni e mi hanno dato un sacco di consigli indispensabili (soprattutto per quanto riguarda b-movie da non perdere… non certo per rimorchiare, visto che la loro musica non è la più adatta allo scopo). Essere insieme ad entrambi, stasera, è un doveroso ringraziamento nei loro confronti, e per questo decido di essere presente a Trezzo sull’Adda nonostante i concerti di Dark Buddha Rising e Fuoco Fatuo a Bologna e Kikagaku Moyo a Ravenna.

I primi a salire sull’imponente palco del Live Club sono i padroni di casa Humulus. Il loro stoner rock intriso di melodie grunge è il perfetto antipasto ai piatti forti della serata. Un po’ emozionati per la responsabilità di dover scaldare il pubblico che attende i mostri sacri del genere, se la cavano però davvero bene, alternando riffoni sabbiosi e rotondi, arpeggi psichedelici e melodie vocali calde e coinvolgenti. La strada intrapresa è quella giusta (come dimostra l’ultimo disco Reverently Heading into Nowhere) per poter rivaleggiare in futuro con i fratelli maggiori.

Gli Ufomammut mi fanno entrare nella loro cameretta per farmi sentire quanto le basse frequenze facciano tremare le mura. Allucinanti filmati psichedelici ad amplificare l’effetto stordente della musica. Mi assicurano di non aver truccato la mia birra con alcuna droga… o forse dicono così solo perché hanno paura che dica tutto a mamma?! Non capisco come mai i vetri non vadano in frantumi sotto le ondate gommose della distorsione, che si gonfia in una nuvola di rumore fino a riempire ogni spazio, e dalla quale solo la robusta batteria di Vita riesce ad affacciarsi, per mostrarci ritmo e struttura nel caos sonoro. Il concerto degli Ufomammut più fisico e carico, tra quelli ai quali ho assistito (e sono 7!). Una band che guarda negli occhi il pubblico con la sicurezza di chi ha raccolto quello che merita, ma anche con l’umiltà di chi sente che c'è sempre spazio per imparare ancora. Come non voler bene ad un fratello così?

Entro poi nella camera del fratello drogato per davvero, Electric Wizard. Quello che la mamma cerca di non farmi prendere come esempio. I feedback che introducono il riff di Witchcult Today (e che accompagneranno ogni momento di “silenzio”, come un acufene costante indotto da una musica ascoltata a volumi esagerati) sono fumo denso di marijuana, attraverso il quale vedo spezzoni di vecchi film horror, post apocalittici o sex exploitation. Dopo 25 anni di continui cambi di line up, è straordinario sentire come la band di Jus Oborn suoni ancora compatta e travolgente. Con il tempo uno strato di polvere (di origine occulta) ha coperto il vomito con il quale la band aveva insozzato la sua camera fra la fine degli anni '90 e l'inizio degli anni 2000, ma i momenti tossici continuano ad affiorare tra un riff e l’altro. Schizzi di psichedelia pesante macchiano di colori acidi il nero intenso del doom sepolcrale suonato dalla band, come frammenti visionari in un horror degli anni '60. Lungi da essere disintossicata, la musica del fratellone elettrico è però tanto possente e coesa - anche nella manipolazione delle dissonanze e degli effetti larsen - da sembrare, oggi, pienamente in grado di controllare le sue sregolatezze. E grazie a suoni ottimamente bilanciati, mi regala uno dei suoi migliori concerti (stasera è il quinto!). 
[R.T.]

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Electric Wizard + Ufomammut + Humulus – 11.18.2018 – Live Club (Trezzo sull’Adda, MI)

I love Electric Wizard and Ufomammut as if they were my elder brothers. I grew up with their music, and at the same time, they grew up before my eyes. They opened my eardrums to new sounds and gave me indispensable advice (especially with regard to unmissable b-movies... certainly not to pick girls up, since their music is not the most suitable for the purpose). Being together with both, tonight, is a dutiful thanks to them, and for this reason I decide to be present in Trezzo sull'Adda despite the concerts of Dark Buddha Rising and Fuoco Fatuo in Bologna and Kikagaku Moyo in Ravenna.

The first to get on the imposing Live Club stage are the hosts Humulus. Their stoner rock drenched in grunge melodies is the perfect starter before tonight's meaty bits. A little excited for the responsibility of warming up the audience waiting for the legends of the genre, but they are doing very well, alternating sandy huge riffs, psychedelic arpeggios and warm engaging vocal melodies. The road taken is the right one (as evidenced by the latest album Reverently Heading into Nowhere) in order to rival the older brothers in the future.

Ufomammut let me enter their bedroom to make me feel how the low frequencies make the walls tremble. Dazzling psychedelic films to amplify the stunning effect of music. They assure me that they did not fix my beer with any drugs... or maybe they say that just because they're afraid I could say something to mom?! I do not understand why glasses does not shatter under the gummy waves of distortion, which swells in a cloud of noise to fill every space, and from which only Vita robust drums manage to emerge, to show us rhythm and structure in the sound chaos. The most physical and groovy Ufomammut concert among those I attended to (and they are 7!). A band that looks into the eyes its audience with the self-confidence of those who have collected what they deserve, but also with the humility of those who feel that there is always room to learn even now. How not love a brother like that?

Then in the really doped brother's room, Electric Wizard. The one mom fears I would take as an example. Feedbacks introducing Witchcult Today riff (and that will accompany every moment of "silence", like a constant tinnitus induced by music listened to exaggerated volumes) are dense smoke of marijuana, through which I see clips of old horror, post apocalyptic or sex exploitation movies. After 25 years of continuous line-up changes, it's extraordinary to hear how Jus Oborn's band still sounds compact and overwhelming. Over time, a layer of dust (of hidden origin) covered the vomit with which the band had soiled its room between the late 90s and early 2000s, but the toxic moments continue to surface between a riff and the other. Spots of heavy psychedelia stain with acid colours the intense black of the sepulchral doom played by the band, as visionary fragments in a 60s horror movie. Far from being detoxified, the music of the electric big brother is so powerful and cohesive - even in the manipulation of dissonances and larsen effects - to seem, today, fully able to control his excesses. And thanks to perfectly balanced sounds, he gives me as a present one of his best concerts (tonight the fifth!).
[R.T.]